Così le stelle ci spiegano cos'è un affetto stabile
L’osservatorio europeo Eso ha identificato nella costellazione del Telescopio un buco nero. È il più vicino alla Terra (“solo” 1.000 anni luce) ed è il “congiunto gravitazionale” di due stelle
Succede spesso di soffermarsi sulle cose lontane non vedendo quel che succede attorno a noi. E poi si dice anche di non dar mai nulla per scontato. Insomma dai non vi sembra assurdo? Non ce l’aspettavamo di avere un buco nero nelle nostre immediate vicinanze. Vicinanze si fa per dire, perché il buco nero appena scoperto si trova a 1000 anni luce dalla Terra ma rispetto alle distanze astronomiche cui siamo abituati è come osservare la facciata del condominio di fronte a casa nostra.
Cosa sappiamo? Nella costellazione del Telescopio si trova una sistema binario che si conosce da tempo (sistema HR 6819), visibile come una singola stella anche con un semplice binocolo giocattolo (va bene anche quello dei Paw Patrol): sistema binario significa un sistema composto da due stelle legate tra di loro gravitazionalmente, quindi interagiscono con le stesse leggi di Newton che si applicano al nostro sistema solare. I sistemi stellari sono composti da 2 o più stelle: la stella polare per esempio è un sistema triplo. Immaginate per un attimo se fossimo abitanti di un pianeta che si trova in un sistema triplo, magari 3 stelle con 3 sfumature diverse di giallo-arancione: sarebbe un balletto di albe, luci, ombre e tramonti, insomma un monotono Instagram di aperitivi a ciclo continuo.
Attraverso una nuova analisi del sistema binario nella costellazione del Telescopio, gli scienziati dell’osservatorio europeo (ESO) hanno scoperto che un nuovo oggetto sta interagendo con gli altri due. Non è la prima volta che dal comportamento, dall’orbita, dalla traiettoria e dal tempo si possa intuire la presenza di “altro” che indichi la sua esistenza. Forse il primo esempio in ordine cronologico è proprio la scoperta di Nettuno: il primo pianeta ad essere stato individuato tramite intuizioni matematiche. Gli astronomi dell’epoca si accorsero che l’orbita di Urano veniva perturbata dalla presenza da un’altra fonte di forza gravitazionale: e così fu. Doveva esserci un pianeta sconosciuto. Dopo di lui molti altri oggetti astronomici sono stati “visti” o previsti sulla carta.
Come fosse un Nettuno qualsiasi, un buco nero di 4 masse solari è stato identificato nel sistema binario HR 6819, dimostrandosi – visti i tempi – un “congiunto gravitazionale”: ci troviamo di fronte a un sistema stellare in cui il buco nero è un affetto stabile perché non interagisce violentemente con gli altri compagni di viaggio. Le leggi della fisica prevedono di poter avere delle orbite stabili attorno a un buco nero: se posti alla giusta distanza si può tranquillamente gravitare attorno a una singolarità dello spazio-tempo. Molto probabilmente il buco nero si è formato dal collasso gravitazionale di una stella di grande massa: dopo il collasso il nucleo si contrae così tanto che la sua massa si concentra in una piccola regione infinitesimale. Mi perdonerete se banalizzo, ma quel che accade si può idealizzare così: il collasso comprime la materia talmente tanto che il tappeto elastico (cioè lo spazio-tempo) cede. Un catastrofico buco diventa la loro unica via d’uscita e il campo gravitazionale riesce a trattenere anche la luce rendendolo a tutti gli effetti nero. Fatti non foste a viver come buchi e infatti man mano che ci si allontana dal centro di un buco nero, il campo gravitazionale si comporta come quello di qualsiasi altro oggetto dotato di massa.
Come dichiarato dal team di scienziati che l’ha individuato, quest’ultimo buco nero potrebbe essere la punta dell’iceberg. Chissà quanti se ne nascondono tra le migliaia di sistemi binari che conosciamo. Si stima qualcosa come 1 miliardo di buchi neri per la nostra galassia dando vita a una nuova caccia nel campo dell’astronomia.
È proprio il caso di riscrivere la famosa frase del racconto “il piccolo principe”: il gravitazionale è invisibile agli occhi.
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