I turisti cercano refrigerio nelle fontane di Roma (foto LaPresse)

I professionisti dell'emergenza

Umberto Minopoli

Un tempo si chiamava caldo, ora “Lucifero”. Perché è un dramma mostrificare l'ovvio

L’unica notizia vera sarebbe: "botta di caldo: la CO2 e il global warming non c’entrano nulla". Sarebbero in molti a mostrasi sorpresi e disorientati: una vera doccia fredda per i sacerdoti del cambio climatico e della sua causa antropica. Eppure è così. Non vi sembrerà vero ma è così: fa un gran caldo ma i nostri consumi energetici, stili di vita, tubi di scappamento, condizionatori, centrali e impianti industriali, stavolta, non c'entrano nulla.

 

Apparirà incredibile, inverosimile, sospetto per la vulgata ma, stavolta (e chissà quante altre volte), la causa del caldo non sono le fonti fossili e le nostre abitudini ma la natura. Che cosa è successo? Semplicemente: quello che succede da quando (qualche miliardo di anni) il nostro pianeta possiede la sua attuale conformazione, atmosfera asse di inclinazione, orbita, direzione di ricezione dell'irraggiamento solare. Insomma: da quando una serie di fortunatissime condizioni ci collocano in una fascia abitabile del sistema solare. Si dà il caso che l'insieme di quelle condizioni determinano un'area del pianeta, prossima all'equatore terrestre, dove si incontrano (e si scontrano) gli alisei, i venti regolari e costanti (frutto, in ultima analisi, della rotazione della sfera terrestre), appartenenti alla cella di circolazione (detta di Hadley) atmosferica posta ai tropici. E' una delle tre celle che compongono, su tutta la sfera, la circolazione dell'atmosfera. Questa particolare sfera di circolazione si chiama, non a caso, equatore climatico: con le sue fluttuazioni e oscillazioni continue (moti convettivi) verso Nord e verso Sud, a seconda delle stagioni, crea fluttuazioni termiche, escursioni di aria calda, piogge monsoniche e influenza, pesantemente, il clima alle medie latitudini (le nostre).

 

Ora è successo che gli alisei (non è la prima volta) si sono incontrati un po' più a nord della consueta zona tropicale. Determinando una botta di caldo in zone più a nord dell'equatore, alle nostre latitudini. Pura (e normale) casualità. Chissà che non c'entri l'attività solare (i fenomeni di circolazione atmosferica dipendono, in gran parte, da ciò'). Ma la religione climatista, ahinoi, ha deciso che l'attività ciclica del sole non c'entra niente con il caldo. E, invece, stavolta è certo, non c'entra l'uomo e, men che meno, i suoi maneggi energetici. Eppure niente da fare: qualunque evento climatico, da almeno un trentennio, deve essere presentato, oltre che antropico, come dirompente, eccezionale, innaturale, inedito, straordinario. "Caldo record". "Il più intenso di sempre". “Piogge mai viste". “Il mondo si sta  tropicalizzando". E via drammatizzando. L'antropizzazione delle cause dei cambiamenti climatici  porta, inesorabilmente, a riscrivere i linguaggi usuali della scienza, a cambiare nome ai fenomeni atmosferici, a personificarli diabolicamente pur di evocare catastrofi e mostrificare l'ovvio, il consueto, il naturale. E fu così che una botta di caldo divenne... Lucifero.

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