Lumi sui vaccini

Antonio Gurrado

Nel 1714 in Inghilterra si comincia a parlare di inoculazione del vaiolo per non ammalarsi, e i primi a farlo sono i nobili e i più istruiti. Ma gli antivaccinisti erano già in agguato

I vaccini hanno inventato l’Illuminismo o, meglio, se oggi possiamo dirci eredi di quella ragionevole tradizione settecentesca lo dobbiamo al dibattito sui vaccini iniziato tre secoli fa. Nel 1714 un membro della Royal Society di Londra, John Woodward, fa da tramite per “An account, or history, of the procuring the small pox by incision, or inoculation; as it has for some time been practiced at Constantinople”, lettera scritta dall’accademico oxoniano e patavino Emanuel Timonius. Nel resoconto di questo “ingegnoso discorso”, Woodward riferisce che la pratica di inoculare il vaiolo invale da una quarantina d’anni in Turchia e che è “ormai fuori di dubbio che, eseguita l’operazione su persone di qualsiasi età, sesso o complessione, perfino nei luoghi più mefitici, è stato riscontrato che nessuna di esse sia morta di vaiolo”. Non solo: “Le persone su cui viene praticata quest’inoculazione sono soggette a sintomi lievissimi, tali che a stento notano di sentirsi un po’ male; ed essa non lascia alcun segno o traccia sul volto”, mentre il vaiolo contratto naturalmente deturpava per la vita i pochi che risparmiava.

 

L'avanzata dell'inoculazione nella prassi trova una battuta d'arresto nella teoria, grazie al primo antivaccinista della storia

A Costantinopoli vive Lady Mary Wortley Montagu, moglie di un diplomatico di area whig in servizio presso la locale ambasciata britannica. Nel 1718 costei chiede al medico di stanza, lo scozzese Charles Maitland, di inoculare il vaiolo nel figlio Edward di nascosto dal marito. Il fatto che una nobildonna abbia deciso di far seguire a un medico la pratica di una nazione esotica ha vasta eco in Inghilterra e inizia a rendere l’inoculazione un caso politico. Nel gennaio 1721 le “Nouvelles extraordinaires de divers endroits” fanno arrivare in Francia la notizia che a Londra si era tentato l’esperimento di inoculare una pustola vaiolosa su sette prigionieri rei di diversi crimini; costoro patiscono sintomi lievi della malattia salvo poi ristabilirsi del tutto e ottenere la libertà per essersi prestati alla scienza.

 

L’avanzata dell’inoculazione nella prassi trova una battuta d’arresto nella teoria, grazie al primo antivaccinista della storia: William Wagstaff. Questi, in “A Letter to Dr. Freind; shewing the danger and uncertainty of inoculating the small pox”, reputa l’inoculazione “pericolosa”, “incerta”, e ritiene che sia dovere dei medici salvaguardare la salute dei pazienti scoraggiando l’inoculazione. “La posterità”, scrive Wagstaff, “sarà scarsamente portata a credere che un esperimento praticato solamente fra le donne ignoranti di un popolo insensato possa all’improvviso venire accolto da una delle nazioni più civilizzate del mondo”. Wagstaff accusa chi pratica l’inoculazione di “non essere in grado di fornire nessuna tollerabile relazione sui fatti”; pretende che preventivamente all’inoculazione si consideri “la disposizione dei fluidi” del paziente che la riceve, oltre al clima circostante, “così da rendere la pratica effettivamente razionale e utile”. Da un lato è fermamente convinto che non sia possibile trasmettere il vaiolo per mezzo dell’inoculazione, dall’altro è fermamente convinto che l’inoculazione faccia male perché “non siamo in grado di sapere, dopo avere inoculato una putrida febbre, fino a quale livello s’innalzerà e quante pustole farà spuntare”. Né crede ci sia “ragione conosciuta, o che possa essere fornita dagli inoculatori, del perché una volta avuta regolarmente questa malattia non si possa poi contrarla di nuovo”.

 

Nel 1722 Carolina di Ansbach fa inoculare il vaiolo su suo figlio. Una scelta fondamentale: è moglie di Giorgio II, regina d'Inghilterra

Se vi suona familiare, è perché il metodo di Wagstaff consiste nell’utilizzare “uno stile declamatorio e argomentazioni sofistiche; l’uso di fisime come ragionamenti, di contraddizioni come dimostrazioni, di insulti come dati di fatto”. Così scrive nel 1722 John Crawford in “The case of inoculating small-pox consider’d, and its advantages asserted”, battagliero libretto di una quarantina di pagine a mo’ di replica e apostrofe. Più sofisticata, nello stesso anno, è la reazione del dottor John Arbuthnot. Questi presta la voce al primo europeo ad avere praticato l’inoculazione pubblicando “Mr Maitland’s account of inoculating the small pox vindicated”, opera che contiene anche un’interessante argomentazione riguardo alla libera scelta delle famiglie, calibrata dalla responsabilità del medico. “I medici non possono innestare” – dice proprio così, “ingrast” – “le persone contro il loro consenso o quello dei genitori; e un medico tralignerebbe dal proprio dovere se li persuadesse in senso contrario alle loro inclinazioni: d’altro canto, se una persona, dopo la generica esperienza della fatalità del vaiolo, dovesse risolversi a far innestare il proprio figlio, qualsiasi medico che dovesse dissuaderlo sarebbe in gran misura responsabile delle conseguenze della propria negligenza di tale metodo, proposto dal genitore per salvare la vita del bambino”. Tradotto dalla prosa un po’ involuta del secolo, significa non solo il medico antivaccinista è un delinquente ma anche che soltanto i genitori ignari delle conseguenze nefaste del vaiolo possono ritenere che non sia il caso di vaccinare i propri figli facendo rischiare loro la morte.

 

In quello stesso 1722 Carolina di Ansbach fa inoculare il vaiolo prima su cinque orfanelli e poi, visto il successo dell’operazione, direttamente sul figlio: è una scelta fondamentale in quanto è moglie di Giorgio II, quindi regina d’Inghilterra. Suo padre era morto di vaiolo; lei stessa ne era stata affetta; suo figlio Federico, principe di Galles, fu la prima testa coronata su cui fosse praticata l’inoculazione. Non poté tuttavia succedere a Giorgio sul trono britannico in quanto morì nove anni prima di lui, nel 1751 – la leggenda vuole il prematuro decesso causato dai postumi di un colpo preso giocando a cricket, sua grande passione.

 

L’anno dopo, il dibattito irrompe in Francia sulla scorta di un’epidemia di vaiolo che nella sola Parigi causa forse ventimila morti. In questo frangente un tale monsieur de la Coste verga una “Lettre sur l’inoculation de la petite vérole comme elle se pratique en Turquie & en Angleterre”. L’autore è pressoché ignoto ma decisivo è il suo approccio al tema. Sin dall’epistola dedicatoria spiega infatti che il suo obiettivo è da un lato garantire l’imparzialità del resoconto, presentando tanto i fatti relativi agli esperimenti di inoculazione quanto le obiezioni via via avanzate contro questo metodo; dall’altro, però, è scrivere in modo tale da “distruggere questi scrupoli al fine di convincere le persone ragionevoli di questo regno a non privarsi più oltre di un rimedio per il quale la posterità avrà luogo di benedire coloro che l’avranno autorizzato o prescritto”, poiché “bisogna guarire il popolo dai suoi pregiudizi”.

 

La Coste è il primo ad avanzare la distinzione fra vaccinisti ragionevoli e antivaccinisti irragionevoli. A questo spunto si attaccheranno i due testi fondamentali per il peso che avranno nel dibattito sul vaiolo: il primo, le “Lettere filosofiche” di Voltaire, contribuirà alla decisiva importazione del metodo inglese in Francia; il secondo, l’“Encyclopédie” ormai abbandonata da d’Alembert e rimasta in mano a Diderot, contribuirà alla perorazione della validità del metodo dalla Francia in tutta l’Europa illuminista.

 

Subito gli antivaccinisti cercano di dimostrare l'inutilità della pratica, insinuando che le vaccinazioni c'entrino con la magia

Già nel 1723, una battaglia per la ragionevolezza si mostra necessaria. In Francia i grandi oppositori dell’inoculazione sono i teologi della Sorbona; il “Mercure de France” dà conto di un pamphlet inglese che rigetta la pratica dell’inoculazione sulla sola scorta di un versetto biblico, “non tenterai il Signore Dio tuo” (Luca 4, 12); il “Journal de Trévoux” dà conto di un teologo secondo il quale il vaiolo fu inoculato a Giobbe dal demonio in persona. A favore si schierano invece medici come Jean Astruc, che una quindicina d’anni dopo diverrà il primo studioso di malattie veneree, e Jean-Claude-Adrien Helvétius, medico di corte della moglie di Luigi XV e padre di Claude-Adrien Helvétius, pensatore illuminista di medio calibro e fido amico di Voltaire. Astruc sostiene che “non si vede come quest’operazione possa comportare il minimo pericolo, né si capisce su che basi si fondino le lamentele del clero d’Inghilterra”; Helvétius père aggiunge di essere “talmente persuaso dalla riuscita dell’esperimento da ritenerlo un metodo molto utile e molto vantaggioso per lo stato”. Col passaggio in Francia l’inoculazione diventa, da libera scelta di singole famiglie, un atto politico per cui ne va dell’interesse nazionale. Per questo motivo sarà centrale nella riflessione degli illuministi.

 

Intanto, nel 1724, il farmacista Francis Howgrave pubblica le “Reasons against the inoculation of the small-pox”: è il primo a combattere l’inoculazione da una posizione minoritaria, consapevole che il favore per il metodo ha conquistato anche il Palazzo Reale e che l’opinione pubblica è ormai persuasa della “ragionevolezza e necessità di questa pratica”. Il suo scopo è dunque dimostrare che sovrani e lettori s’ingannano e credono di detenere una verità scientifica diversa da quella vera, ossia che “non si possieda un metodo o rimedio infallibile per curare il vaiolo”. Howgrave presenta una fantasiosa casistica di inoculazioni senza successo, o che hanno causato più danni del corso naturale della malattia, e inizia a utilizzare in senso spregiativo il termine “inoculator” contro chiunque adotti o sostenga questa pratica. Gli fa eco dalla Francia il prolisso Philippe Hecquet, nelle “Observations sur la saignée du pied, et sur la purgation au commencement de la petite vérole, des fièvres malignes et des grandes maladies. Preuves de décadence dans la pratique de médecine, confirmées par de justes raisons de doute contre l’inoculation”. Qui insinua che l’inoculazione abbia a che fare più con la magia che con la medicina e ventila l’ipotesi che la magistratura francese ordini alla polizia di irrompere nei gabinetti medici onde impedire l’inoculazione così come, a fine Seicento, s’era proibita la vendita del tabacco.

 

A questo punto l’inoculazione è terreno di una triplice battaglia: l’interesse dello Stato contro l’arbitrio delle famiglie; la verità sperimentale contro la superstizione parascientifica; la ragione contro l’irragionevolezza. Le due posizioni restano in equilibrio fino a che, nel 1734, non appaiono in Francia le “Lettere filosofiche” di Voltaire, l’undicesima delle quali verte “Sur l’insertion de la petite vérole”. Inizia così: “Nell’Europa cristiana si mormora che gli inglesi sono dei pazzi furiosi: pazzi perché causano il vaiolo ai propri figli per impedire loro di averlo; furiosi perché a cuor leggero trasmettono a questi bambini una malattia certa e terribile con l’obiettivo di prevenire un male incerto. Gli inglesi, dal canto loro, dicono che gli altri europei sono dei vigliacchi snaturati: vigliacchi perché hanno paura di fare un po’ di male ai loro figli; snaturati perché li espongono al rischio di morire, un giorno, di vaiolo”. L’opera di Voltaire, abitualmente identificata con l’alba della produzione filosofica dell’Illuminismo, è adamantina nel conteggiare le vittime del vaiolo (“la quinta parte degli uomini viene sicuramente uccisa o deturpata da questa malattia”) contrapponendole al fatto che “di tutti quelli che vengono inoculati in Turchia o in Inghilterra non muore nessuno, a meno che sia condannato a morte; nessuno resta segnato; nessuno contrae il vaiolo una seconda volta”.

 

Voltaire, che aveva vissuto in Inghilterra dal 1726 al 1728, intende ribadire la supremazia dei fatti e mal digerisce il ritardo della Francia nel progresso scientifico. “E’ dunque certo”, scrive, “che, se qualche ambasciatrice francese avesse riportato questo segreto da Costantinopoli a Parigi, avrebbe reso un eterno beneficio alla nazione. Forse che i francesi non amano la vita? Forse che le loro donne non si curano della propria bellezza?”. In una riedizione del 1756 ci terrà ad aggiungere che “a Parigi si predica contro questa salutare invenzione come per vent’anni si è scritto contro gli esperimenti di Newton”, concludendo amareggiato su come “tutto provi che gli inglesi siano più filosofi e più coraggiosi di noi”.

 

L'Encyclopédie scrive che nel 1746, a Londra, l'inoculazione su vasta scala fu praticata per la prima volta "da cittadini zelanti"

A conferma che l’inoculazione sia la bandiera sotto la quale si raccoglie un partito filosofico, e non solo una corrente medica, giunge nel 1765 l’articolo “Inoculation” sull’“Encyclopédie”, di autore tuttora ignoto. Si tratta di una delle voci più lunghe dell’ottavo volume, quello in cui il più grande progetto editoriale dell’Illuminismo torna a venire stampato dopo otto anni di sospensione dovuti a guai con la censura. La collocazione è per questo a maggior ragione significativa. In queste tredici pagine in folio, su due colonne fitte, è chiarissima l’opposizione ormai consolidata fra ragionevolezza e antivaccinismo superstizioso: “Mentre molti dottori in medicina e teologia affidarono la vita dei propri figli all’inoculazione, un oscuro medico e un farmacista la vilipesero nei loro scritti, e un teologo predicò trattarsi di un’invenzione del diavolo che ne aveva praticato il primo esperimento su Giobbe. Il dottor Arbuthnot, sotto il nome di Maitland, confutò il primo con uno scritto molto forte e molto calibrato. Disprezzo e silenzio risposero al teologo fanatico”.

 

L’“Encyclopédie” raconta che nel 1746, a Londra, l’inoculazione su vasta scala fu praticata per la prima volta “da cittadini zelanti che si riunirono in una di quelle associazioni che hanno come unico scopo l’amore del bene pubblico, e di cui finora soltanto l’Inghilterra ha dato prova”. Supporta l’idea che, per il vantaggio della nazione, siano le alte cariche dello stato a far praticare l’inoculazione sui propri figli, così che il popolo ne tragga esempio, e indica come fine ultimo dell’inoculazione il medesimo che l’“Encyclopédie” si prefiggeva espressamente sin dal primo volume, ossia “che il pubblico venga istruito”. Di conseguenza questo lungo scritto militante si scaglia contro “chi si crede obbligato a proibire senza esaminarlo tutto ciò che può apparirgli nuovo”, e contro le obiezioni basate su “fatti a dir poco azzardati”. Conia il neologismo dispregiativo “anti-inoculistes”, per rivolgerlo alle “personalità indecenti” i cui “errori dobbiamo distruggere”, e che accusa di avere diffuso fake news (ovvero “fatti dubbiosi e ricoperti di nubi”) sulla morte della figlia di Timonius dopo essere stata inoculata dal padre. Agli anti-inoculisti l’“Encyclopédie rinfaccia l’obiezione che la scienza faccia violenza alla natura: “Si può dire lo stesso di ogni rimedio”, controbatte: “Perché purgarsi, allora? Basterebbe aspettare che la natura ci sollazzi con un’emorragia o una diarrea”. Se quest’articolo sull’inoculazione è un vero e proprio manifesto illuminista, siamo sicuri di voler regredire a tre secoli fa?

Di più su questi argomenti: