La Conferenza di Parigi sul clima è la trincea sguarnita dell'occidente
Roma. Inizia a Parigi la Conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite: migliaia di rappresentanti di 190 paesi del mondo voleranno nella capitale francese con aerei molto inquinanti per decidere come salvare il pianeta dai cambiamenti climatici che, stando alle previsioni degli “esperti”, porteranno un aumento record delle temperature e del livello dei mari, oltre che un incremento degli eventi meteorologici estremi. Il summit durerà fino all’11 dicembre, vedrà all’inizio la presenza di 147 capi di stato, e ha l’obiettivo di impedire che nei prossimi 75 anni la temperatura globale cresca di oltre 2 gradi centigradi.
La Conferenza sul clima di Parigi non servirà a nulla. Anche sperando che – a differenza che nei summit precedenti – tutti i paesi partecipanti raggiungano un accordo sui tagli alle emissioni di CO2, l’aumento della temperatura sarà rallentato al massimo di 0,05 gradi e l’innalzamento dei mari di 1,3 centimetri. A dirlo non sono pericolosi negazionisti del clima, ma la stessa Onu. In questi giorni Bjørn Lomborg, economista danese e “ambientalista scettico”, ha sottolineato su diversi siti e quotidiani tutte le contraddizioni dei paesi che siederanno al tavolo di Parigi, a partire dal fatto che i tagli promessi saranno di appena un terzo superiori a quelli sottoscritti nel 1997 a Kyoto, il cui famoso Protocollo è poi stato abbandonato da quasi tutti i firmatari. Se nel frattempo la situazione è davvero molto peggiorata, perché puntare a un accordo del genere? Come ha capito anche la Cina (vedi articolo a fondo pagina), abbracciare l’agenda verde mondiale porta le simpatie dell’opinione pubblica, dei media e adesso persino del Papa. Poco importa se da oltre quindici anni le temperature non sono effettivamente aumentate (tranne quest’anno, per ora, ma per cause principalmente naturali e non umane, cioè El Niño più potente da qualche decennio a questa parte), se i ghiacci dell’Antartide continuano a crescere e quelli dell’Artide non si sciolgono al ritmo previsto dalle simulazioni dei computer. L’allarme è stato lanciato, il treno ideologico è in corsa.
L’uomo è il capro espiatorio della nuova religione ambientalista, come spiega Pascal Bruckner nel libro “Il fanatismo dell’apocalisse”; il riscaldamento globale più che una vera emergenza causata dall’uomo è lo strumento con cui il potente di turno ci controlla, come diceva Vaclav Klaus – che partecipò alla Rivoluzione di velluto contro i sovietici in Cecoslovacchia e poi divenne presidente della Repubblica Ceca – arrivando persino a farci essere contenti per l’aumento delle tasse, purché “verdi”. Basta guardare i media delle ultime settimane, soprattutto quelli italiani: man mano che ci si avvicinava alla conferenza di Parigi, le prime pagine, i telegiornali e i siti internet sono stati inondati da allarmi sul clima impazzito, le temperature in aumento e i mari che si innalzano. Andando a ritroso nel tempo si può notare come lo stesso sia accaduto prima di ogni conferenza sul Clima delle Nazioni Unite. Per mesi sembra che il clima stia benissimo; poi, appena all’orizzonte appare un summit di questo tipo, ecco scatenarsi la natura impazzita per colpa dell’uomo. Prima del fallimentare incontro di Copenaghen del 2009, decine di quotidiani in tutto il mondo pubblicarono lo stesso allarmistico editoriale, seppellendo la libertà di parola sotto la coltre del pensiero unico sul clima. Analogamente, l’8 novembre di quest’anno sei grandi quotidiani europei hanno pubblicato lo stesso apocalittico inserto speciale sul “clima pazzo”. Nell’editoriale di presentazione sulla Stampa, il direttore Mario Calabresi diceva che “dobbiamo costruire una coscienza collettiva e la conferenza di Parigi deve essere un successo”.
[**Video_box_2**]La nuova coscienza collettiva non ammette dubbi sulle colpe dell’uomo, tratta il clima come una religione e arriva persino a contrapporre il summit di Parigi al jihadismo che ha colpito la capitale francese il 13 novembre. Hollande, Obama, editorialisti e pensatori di tutto il mondo ci assicurano che il mondo può salvare se stesso riducendo le emissioni. All’ideale islamista, terribilmente pieno, si risponde con quello ambientalista, stucchevolmente vuoto. Alla mancanza di valori per cui combattere si supplisce con pannelli solari e pale eoliche, alla missione dei terroristi di convertire l’occidente con il Corano si replica con la missione di salvare gli orsi polari spegnendo la luce. Il tutto accade in un quadro di ipocrisia politica da un lato (la Gran Bretagna ha appena stracciato un piano da un miliardo di sterline per ridurre le emissioni di carbonio; l’ex direttore della Cia Michael Morell ha detto che gli Stati Uniti non hanno bombardato i pozzi petroliferi controllati dallo Stato islamico per paura di danneggiare l’ambiente; in Olanda per soddisfare la crescente domanda di auto elettriche sono state costruite tre nuove grandi centrali a carbone), e di catastrofismo mediatico dall’altro: ogni giornata calda è “senza precedenti”, ogni precipitazione una “bomba d’acqua”. La colpa, naturalmente, è nostra. E chi – pur basandosi su studi e ricerche autorevoli – lo nega è un pericoloso intralcio alla creazione della nuova coscienza collettiva che salverà il mondo.