“Pechino fa sul serio”. Realismo cinico alla base della svolta green

Piero Vietti
La Cina tra voglia di leadership e inquinamento interno. Pechino si candida a essere uno dei protagonisti “positivi” della Cop21, il summit di Parigi. Qualche settimana fa il presidente cinese Xi Jinping e quello americano Barack Obama hanno siglato quello che per i media è stato un “patto storico” sul taglio delle emissioni inquinanti.

Roma. E’ difficile parlare di impegni vincolanti sulle emissioni di gas serra senza dividere il mondo dei “colpevoli” in almeno due partiti: da una parte gli storici inquinatori, che per decenni – secondo la vulgata catastrofista – hanno emesso CO2 nel’atmosfera rovinando il nostro pianeta e compromettendo le temperature globali; dall’altra i paesi emergenti, che appena iniziata la loro corsa verso la crescita si sono visti porre veti sulla quantità di emissioni da produrre annualmente. Per anni si è andati avanti a discutere sull’opportunità di fermare lo slancio economico di paesi come Brasile, India, Cina per costringerli a misure che prima Stati Uniti, Canada ed Europa non hanno dovuto rispettare. Normalmente erano proprio le posizioni di questi paesi a rendere diffile il raggiungimento di accordi comuni tra i partecipanti ai summit-per-salvare-il-mondo.

 

Da un paio d’anni almeno però Pechino ha cambiato il proprio atteggiamento, e si candida a essere uno dei protagonisti “positivi” della Cop21, il summit di Parigi che inizia lunedì. Qualche settimana fa il presidente cinese Xi Jinping e quello americano Barack Obama hanno siglato quello che per i media è stato un “patto storico” sul taglio delle emissioni inquinanti da parte di Pechino da qui al 2030. Al di là dei toni trionfalistici su promesse di cui i due leader non risponderanno, molti analisti continuano a ripetere che “questa volta la Cina fa sul serio”. Lo conferma al Foglio anche Michele Geraci, professore ed economista a capo del China Economic Policy Program presso il Global Policy Institute della Nottingham University: “Pechino ha intrapreso un cammino chiaro, lo ha fatto unilateralmente: al di là di come finirà a Parigi, continuerà con il suo piano di taglio alle emissioni”. L’intenzione di Xi Jinping, fa capire Geraci, è quella di uscire dal summit francese con l’investitura internazionale di paese che guida i negoziati del cambiamento. Il perché di questa svolta verde ha due motivazioni. La prima, più cinica, è che Pechino ha sempre bisogno di un nemico da combattere per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica. “Da quando l’economia non cresce più come prima – spiega Geraci – il governo ha modificato retorica e comunicazione per far passare il messaggio che la green economy è un obiettivo più importante, da raggiungere a costo di sacrifici”. Qualche settimana fa è stato lo stesso governo ad ammettere che i dati sulle emissioni di gas serra noti fino a oggi erano truccati, e che la Cina starebbe bruciando il 17 per cento in più di carbone all’anno rispetto a quanto dichiarato. “Non ci si nasconde più, da tempo sui media ci sono campagne di sensibilizzazione e molte leggi sull’inquinamento sono state finalmente applicate, quando non inasprite. Chi gestisce fabbriche non a norma rischia multe o blocco dell’attività”, dice Geraci.

 

[**Video_box_2**]La motivazione meno cinica della svolta verde cinese è che l’inquinamento è diventato un problema interno molto serio. Al di là dell’influsso che le emissioni possano avere sul clima globale, spiega ancora Geraci, “la situazione si è deteriorata, il popolo è stanco: circa il 20 per cento delle acque non è potabile”, per non parlare dell’aria irrespirabile nelle metropoli. L’impegno al summit di Parigi ha dunque una doppia valenza, interna ed esterna. “Ridurre la CO2 magari serve a poco – ammette Geraci – ma dà un’investitura internazionale che serve a Pechino per smettere di essere rappresentata come il ‘cattivo’ di turno sul clima, e dà maggiore credibilità in patria per combattere l’inquinamento dell’aria e dell’acqua”. E’ facile immaginare che nel futuro prossimo gli investimenti sulla green economy faranno soffrire il pil cinese, e che chi già è entrato nel business delle rinnovabili avrà vantaggi enormi rispetto a chi oggi ancora traffica con il carbone (“Anche se questo tipo di fonte energetica resterà centrale per molto tempo ancora”, sottolinea Geraci), ma evidentemente a Pechino hanno valutato pro e contro con attenzione: la cura dell’ambiente dà lustro e permette di attuare politiche economiche che altrimenti non piacerebbero ai cittadini. Per questo a Parigi sarà probabile osservare una Cina pronta al dialogo e a sottoscrivere impegni più vincolanti rispetto al passato. Con l’economia in rallentamento e l’inquinamento locale da combattere, la Cop21 non poteva capitare in un momento più favorevole. (pv)

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  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.