Il problema non è la carne rossa, ma noi che non capiamo niente
Alla fine, si potrebbe dire che il nuovo rapporto dello Iarc (International Agency for Research of Cancer), l’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa di ricerca sul cancro e di elencare le sostanze cancerogene secondo diversi livelli di pericolosità, non racconti nulla di nuovo. Sono centinaia gli studi citati, studi pubblici, sottoposti a revisione critica, che già si occupavano di definire la relazione tra consumo di carne e tumori. Perché allora tanto clamore?
Perché quelle ricerche erano tante, complesse, sparpagliate in giro per il mondo, e la complessità, se non si fa parte della cerchia degli addetti ai lavori, è sinonimo di incertezza. La classificazione dello Iarc mette un punto fermo, e questo punto fermo è di immediata comprensione, almeno in apparenza. E’ un po’ quello che succede quando le agenzie di rating certificano, abbassando o alzando il rating di un determinato titolo, informazioni delle quali i mercati sono già a conoscenza. In gergo borsistico si dice “arrivare dietro la curva”, e infatti spesso al declassamento non corrisponde il tracollo del titolo in borsa, semplicemente perché il tracollo c’era già stato.
Ma se il punto fermo che mette lo Iarc è facilmente comprensibile, siamo sicuri di averlo compreso correttamente? Il caos che ha seguito la pubblicazione della notizia, con la maggior parte delle testate online che titolavano equiparando la cancerogenicità delle carni lavorate (insaccati e affini) e di quelle rosse in generale al tabacco, all’alcool e al benzene, con il Codacons che scriveva al ministero della Salute chiedendo di sospendere la vendita dei prodotti incriminati, e annunciando un esposto al Procuratore di Torino Guariniello – sempre lui – fa sorgere il sospetto che no, non abbiamo capito bene, proprio per niente.
Le classificazioni dello Iarc distinguono le sostanze non in base a quanto sono pericolose: più pericoloso il benzene, meno pericoloso il vino bianco. Le distinguono in base al livello di certezza che noi abbiamo della loro pericolosità, e questo è un concetto assai meno assimilabile da un pubblico non esperto, che invece si accontenta di vedere che il prosciutto è nel gruppo 1 come il tabacco, da cui se ne deduce che è pericoloso come il tabacco. Noi possiamo essere ragionevolmente sicuri che l’esposizione prolungata a una certa sostanza aumenti l’incidenza di un determinato tipo di tumore – e questo è sufficiente per inserire quella sostanza nel gruppo 1 dello IARC – ma questo non ci dice di quanto aumenta la probabilità di contrarre un tumore, né quanto debba essere prolungata questa esposizione, né quali rischi deriverebbero dall’eliminazione di quel prodotto dalla nostra dieta. Più in soldoni, se siamo ragionevolmente certi che una certa sostanza aumenti di poco l’incidenza di un tumore raro, e che un’altra aumenti significativamente l’incidenza di un tumore molto diffuso, le due sostanze saranno classificate nello stesso gruppo.
[**Video_box_2**]Una classificazione ambigua
Sia chiaro, la classificazione dello Iarc è metodologicamente ineccepibile, perché i decisori pubblici, ai quali si rivolge, devono poter prendere decisioni in base a informazioni verificate, ed è più utile sapere che il consumo di 50 grammi di carne lavorata aumenta il rischio di cancro al colon-retto del 18 per cento, piuttosto che sapere genericamente che non è il caso di ingozzarsi di salsicce. E’ più utile, però, solo se si comprende esattamente quel che significa: non che il 18 per cento di chi consuma quella quantità di carne contrarrà un tumore, né che mangiare insaccati espone agli stessi rischi del fumo: in Italia l’incidenza del cancro al colon-retto è circa 40 casi su 100.000 persone ogni anno. Se rinunciassimo del tutto alle carni rosse lavorate, si ridurrebbero potenzialmente a 34 casi su 100.000. Che è un dato statisticamente rilevante, ma non è esattamente l’informazione che stiamo ricevendo dalla maggior parte dei media, che stanno fortunatamente raddrizzando un po’ il tiro nelle ultime ore.
Tutto questo indica però chiaramente la presenza di un problema, di un corto circuito tra la produzione (corretta) di un dato e la sua fruizione e assimilazione, prevalentemente scorretta. La classificazione dello Iarc è ambigua e seppure metta, per così dire, in bibliografia tutti gli strumenti necessari per una corretta comprensione dei dati, la sua comprensione immediata rischia di essere fallace, anche per i media e gli stessi decisori pubblici. Questo alla fine può condurre al fallimento delle stesse intenzioni dell’Oms, qualora cominciassimo a ritenere fuorvianti le sue raccomandazioni, e sarebbe un danno assai più grave del consumo quotidiano di 50 grammi di salsiccia.