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Effetto Omicron

Operatori contagiati e interventi rimandati: ecco l'affanno degli ospedali italiani

Ruggiero Montenegro

Nonostante i numeri siano ancora sotto controllo, le cronache locali raccontano di strutture costrette riorganizzare i reparti. Almeno 20mila professionisti sono fuori gioco. Sileri: "Utilizzare chi ha un monte orario ridotto e poi medici e infermieri stranieri già in Italia"

A guardare i dati, la situazione degli ospedali appare (ancora) sotto controllo: certo, come riporta il monistoraggio Agenas, trainato da Omicron e dai contagi record delle ultime settimane il tasso di riempimento delle terapie itensive, su scala nazionale, risulta in lenta ma costante crescita, si attesta oggi al 17 per cento. Un indicatore che segue la stessa dinamica e arriva fino al 26 per cento nel caso dei ricoveri in area non critica.

Ma si tratta anche di numeri che, al netto delle situazioni di alcune regioni, come quelle di Valle d'Aosta (intensive al 18 per cento e ricoveri al 46 per cento), Liguria (20 per cento e 39 per cento) e Trento (30 per cento e 21 per cento), non sembrerebbero giustificare toni troppi allarmistici: c'è ancora una buona riserva di posti letto e il sistema sanitario, nonostante lo stress, è in grado di sostenere l'urto di questa nuova ondata.

 

Eppure, sfogliando le cronache locali ed allargando lo sguardo al di là del virus, quello che emerge è un quadro più complicato, dove alle percentuali corrispondono problemi pratici e strutturali, con gli ospedali costretti a rimodulare le proprie attività, a rimandarle quando non a sospenderle del tutto, per fare spazio ai pazienti Covid. “La riduzione degli interventi chirurgici è drammatica”, è l'allarme lanciato ieri dal presidente della Società di chirugia italiana Francesco Basile, “spesso non è possibile operare neanche i pazienti con tumore perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva nel postoperatorio", si legge nella nota rilasciata da Sic in cui si sottolinea anche come le attività chirurgiche siano state mediamente ridotte al 50 per cento, con punte dell'80 per cento.

Un punto sottolineato ieri anche da Mario Draghi, spiegando le ragioni del nuovo decreto anti Covid: limitare la circolazione del virus per permettere che le attività ordinarie vengano garantite con tempistiche accettabili e senza che le liste d'attesa diventino infinite.

 

È in questo senso che va intesa per esempio l'iniziativa di Giovanni Toti in Liguria, che ha deciso di riorganizzare le strutture del territorio, raddoppiando i posti letto nelle Rsa Covid (da 200 fino a circa 400), in modo da alleggerire gli ospedali della regione, quanto meno nella gestione dei casi meno gravi. E anche il Friuli-Venezia Giulia ha dovuto rivedere le attività sanitarie, riducendo le operazioni chirurgiche del 40 per cento così come sono state riviste le attività che non prevedono ricovero. Discorso analogo in Campania, con lo stop ai ricoveri non urgenti e la riconversione in strutture Covid di vari presidi sanitari.

Criticità che si riscontrano anche in Sicilia, con ambulanze in coda a Catania, Messina e Siracusa: “un sistema sanitario che boccheggia”, si legge sul dorso locale della Repubblica, che racconta l'affanno dell'isola e la riconversione dei reparti per fronteggiare gli effetti del contagio. Che riguarda ormai anche gli operatori sanitari, al punto da mettere in dubbio anche l'efficacia delle riorganizzazioni: il rischio è che pur essendoci nuovi posti letto, manchi il personale.

 

Settimana scorsa un report Fnopi, la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche, stimava che nell'ultimo mese l'aumento dei contagi in corsia avesse raggiunto il 210 per cento, dai 4.142 casi contati il 2 dicembre a 12.870, in 30 giorni. Una cifra che intanto è salita ad almeno 20 mila. “È una situazione che personalente avevo segnalato circa un mese fa osservando i dati inglesi, che stimavano circa 50mila sanitari contagiati entro il 31 dicembre con la variante Omicron. È' chiaro che questo determina un problema. È un fatto che il personale sanitario soffrità nelle prossime setimane contagi e quindi assenze”, ha spiegato al Foglio il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, chiudendo, anche in caso di assoluta emergenza, all'ipotesi di richiamare i sanitari no vax: “Assolutamente no, anche perchè la percentuale di personale sanitario non vaccinato è estremamente bassa, numeri così piccoli che non cambierebbero il rapporto. Non c'è spazio e non deve esserci spazio per questa eventualità”.

Piuttosto, è la prospettiva indicata dal senatore pentastellato, occorre “innanzitutto utilizzare coloro che hanno un monte orario ridotto”, ovvero, spiega Sileri con un esempio: “I medici Sumai, del sindacato unitario dei medici ambultoriali, in media nazionale hanno 20 ore a settimana e potrebbero tranquillamente essere portati a 38 ore. Ma ovviamente serviranno le risorse, bisogna lavorare”. E non è l'unica strada, “Non ci dimentichiamo – aggiunge - che in Italia c'è un numero importantissimo, diverse migliaia di medici e infermieri stranieri, ma prevalentemente medici, che non possono accedere ai concorsi perchè non sono cittadini. Ecco, il coinvolgimento di questi può essere un'altra risorsa, preziosa”.

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