La Presse

Ragioni per non perdere l'ottimismo nonostante Omicron

Claudio Cerasa

Prudenza, cautela e fiducia. Il 2022 non è iniziato bene, ma tra vaccini e farmaci la fine della pandemia potrebbe non essere lontana. Dal Guardian a Bill Gates. Due formidabili lezioni contro i professionisti della paura

Due anni dopo l’inizio della pandemia siamo tutti alla disperata ricerca di una qualche spia di ottimismo che ci permetta di osservare i prossimi mesi con un briciolo di fiducia e ci consenta di dimenticare le settimane natalizie passate in mezzo a uno tsunami di contagi, di quarantene, di vacanze rovinate e di terrore per il ritorno a scuola. Abbiamo cercato, muovendoci con il lanternino, di mettere insieme almeno cinque notizie utili per non essere eccessivamente pessimisti rispetto alle settimane che verranno, anche se ovviamente essere ottimisti con 200 morti e 300 mila contagiati al giorno non è una pratica semplice. Ma facendoci largo a spallate nella marea delle cattive notizie qualche elemento di speranza c’è, eccome se c’è, e vale la pena valorizzarlo. Le prime due buone notizie sono quelle che ha anticipato negli ultimi giorni il nostro Enrico Bucci che, numeri alla mano, ha spiegato che (a) “la risposta indotta dai vaccini e dalle infezioni pregresse con altre varianti agisce allo stesso modo contro Omicron anche a oltre otto mesi di distanza dal completamento del ciclo vaccinale, diminuendo di molto la probabilità di esiti severi dell’infezione” e che (b) “la terza dose non solo induce una temporanea espansione di anticorpi ma induce anche la differenziazione di una popolazione di cellule della memoria immune in grado di produrre anticorpi ad ampio spettro, capaci di contrastare molte varianti note e probabilmente anche coronavirus diversi da Sars-CoV-2, una volta che l’organismo vi si trovi di nuovo esposto”. Memoria immunologica, ragione scientifica e speranza razionale ci consentono dunque di essere vigili ma sereni rispetto al futuro (i vaccini funzionano e il loro effetto dura a lungo e ci sono ottime possibilità che il nostro organismo possa produrre anticorpi capaci di proteggerci dalle varianti future). Ma oltre a questi due elementi le notizie positive sono anche altre e sono quelle che due giorni fa hanno spinto il Guardian a dedicare un articolo a questo tema. E il fatto che lo abbia pubblicato proprio il Guardian, giornale progressista che avrebbe tutto l’interesse a drammatizzare la situazione pandemica inglese, anche solo per evidenziare i disastri combinati da Boris Johnson, è particolarmente interessante e vale dunque la pena ripercorrere i passaggi suggeriti per provare a tirare un sospiro di sollievo guardando al futuro e per provare a spiegare perché, nonostante i sondaggi apocalittici e pessimistici pubblicati da Ilvo Diamanti su Repubblica (yawn), i sondaggisti di tutto il mondo registrano, come ha fatto Ipsos qualche giorno fa pubblicando le sue “Global predictions for 2022” che la grande maggioranza delle persone in giro per il mondo (il 56 per cento) è fiduciosa rispetto al fatto che il 2022 sarà un anno migliore. Il primo esempio di notizia positiva è quello offerto dal dottor Bob Wachter, presidente del dipartimento di Medicina dell’Università della California, San Francisco, che in un recente thread su Twitter ha offerto alcuni spunti di ottimismo che il Guardian ha messo insieme. In primo luogo, Wachter ha affermato che, calcolando la velocità con cui è prima cresciuta e poi decresciuta la curva dei contagi in Sudafrica dovuta alla diffusione della variante Omicron, ci vogliono  tra le sei e le otto settimane circa per tornare a una situazione di relativa normalità. 


Entro marzo, dice Wachter, l’incubo Omicron potrebbe essere solo un lontano ricordo ma il dato più incoraggiante, ricorda il Guardian, è che oggi i ricoverati per Covid continuano a essere per lo più coloro che hanno fatto la cattiva scelta di non vaccinarsi (i vaccini funzionano) e anche coloro che oggi non sono vaccinati tra un paio di settimane se verranno contagiati da Omicron e riusciranno a sopravvivere al Covid-19 avranno una protezione contro il virus e contribuiranno a far aumentare l’immunità complessiva della società. A tutto questo, poi, va aggiunto un altro elemento che riguarda l’arrivo delle pillole anti Covid. Due in particolare: la Paxlovid negli Stati Uniti e la Merck in buona parte dell’Europa. Nel giro di poche settimane, le pillole dovrebbero essere disponibili per le persone ad alto rischio che potrebbero dunque beneficiare di quello che oggi è il principale obiettivo dei due prodotti: ridurre il tasso di ospedalizzazione e di mortalità dei pazienti ad alto rischio di circa il 90 per cento. Nel giro di poche settimane, dunque, le persone più vulnerabili potrebbero essere coperte dal vaccino, o da infezioni recenti, e potrebbero essere messe in sicurezza dalla pillola. E se questi elementi si dovessero verificare non sarebbe più un’utopia iniziare a pensare che il Covid-19 possa diventare nel giro di poco tempo qualcosa in più di un’influenza. Volete ancora un po’ di ottimismo? Sentite cosa ha scritto Bill Gates qualche giorno fa sul suo blog personale. “E’ preoccupante ogni volta che emerge una nuova variante, ma sono ancora fiducioso che, a un certo punto il prossimo anno, il Covid-19 diventerà una malattia endemica nella maggior parte dei luoghi. Sebbene attualmente sia circa dieci volte più letale dell’influenza, i vaccini e gli antivirali potrebbero dimezzare questo numero. Il mondo, oggi, è meglio preparato ad affrontare varianti potenzialmente negative che in qualsiasi altro momento della pandemia”. Non siete ancora soddisfatti e volete un booster di ottimismo? Bene. Leggete cosa scrive allora il dottor Raghib Ali, un epidemiologo clinico, sempre sul Guardian, rispetto al futuro della pandemia. Siamo condannati al pessimismo?, si chiede. Risposta secca: no. Perché? Perché essendo la maggioranza delle persone ben protetta con vaccini altamente efficaci c’è un rischio individuale molto più basso di finire in ospedale. Perché la combinazione dei vaccini con una migliore conoscenza relativa a come trattare il Covid significa avere tassi di ospedalizzazione e di mortalità sempre più bassi. E tutto questo ci permetterà, a differenza dello scorso anno, di non far perdere ai nostri figli troppi giorni di scuola, di non mettere a rischio le attività di vendita al dettaglio, di incontrare i nostri amici, di stare con le nostre famiglie. Non solo. Oltre ai due farmaci antivirali approvati, ce ne sono altri in fase di sperimentazione clinica, che dovrebbero essere disponibili entro quest’anno, e inoltre vi sono in fase di sviluppo nuovi vaccini che semplificheranno la gestione delle varianti, i cosiddetti vaccini “multivalenti”, e accanto a questi vi saranno anche altre invenzioni, in fase di sperimentazione, che presto consentiranno di vaccinarsi o tramite spray nasale (accade già per i più piccoli per l’influenza), o utilizzando cerotti cutanei (alcuni di questi verranno testati dal 10 gennaio all’Unisanté di Losanna in Svizzera su 26 volontari sani che saranno seguiti per sei mesi). Purtroppo, ricorda il Guardian, il Covid non sta scomparendo definitivamente, ma “possiamo essere molto ottimisti sul fatto che il 2022 sarà l’anno in cui finirà la pandemia e sarà l’anno che permetterà di far diventare il Covid-19 una malattia endemica nella maggior parte dei paesi del mondo grazie ai livelli molto elevati di immunità della popolazione attraverso una combinazione di vaccinazione e infezione naturale”. Dunque. Prudenza, cautela, fiducia e ottimismo. L’anno non è iniziato bene, ma le premesse per fare di quest’anno l’anno in cui la pandemia finirà ci sono tutte, e conviene tenersele strette ricordandosi che anche in tempi di pandemia guardare il bicchiere mezzo pieno non è un’eresia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.