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l'intervista

In Giappone crollano i contagi. Merito del vaccino e delle troppe varianti

Giovanni Rodriquez

Le mutazioni potrebbero aver causato una sorta di auto distruzione del virus, sospettano i ricercatori. Ma è ancora tutto da dimostrare. Intanto più di due terzi della popolazione ha completato in ciclo vaccinale

Il Giappone, in totale controtendenza rispetto all’Europa, sembra si stia quasi lasciando alle spalle l’emergenza Covid. Analizzando i dati dei contagi sull’isola si è infatti passati da un picco di oltre 25mila casi registrati il 25 agosto scorso agli attuali 112. Un vero e proprio crollo. Com’è stato possibile tutto questo? Di sicuro possiamo partire da un dato certo: non è vero che in Giappone il Covid sia sparito con una bassa copertura vaccinale. Qui, infatti, a oggi il 77 per cento della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. 

L’ipotesi di un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Genetica e dell’Università di Niigata è che il fenomeno sarebbe dovuto a una sorta di "auto distruzione" del virus causata dalle sue stesse mutazioni. Una storia curiosa che però, come sottolinea Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma, sarebbe “tutta da dimostrare”, visto che al momento non c’è alcuna pubblicazione seria disponibile su questa vicenda. “È possibile che il virus Sars-Cov-2 abbia accumulato un certo numero di mutazioni dannose fino a estinguersi. Questo è un processo del tutto casuale e può statisticamente verificarsi solo in un numero molto limitato di casi, parliamo quindi della possibile estinzione di un ceppo in una sottpoopolazione. Ma che questo meccanismo possa aver completamente  ‘spento’ da solo il contagio da Covid in tutto il Giappone è assolutamente impossibile”, spiega Novelli.

Il meccanismo delle continue mutazioni che, accumulandosi, possono generare diverse “mutazioni abortive” tali da portare uno specifico ramo all’estinzione è già noto. “È lo stesso meccanismo sul quale si basa la pillola anti virale contro il Covid della Merck - spiega Novelli -. Il farmaco non fa altro che indurre mutazioni, aumentando quindi il tasso di mutazioni spontanee. Il virus incorpora queste mutazioni e, a forza di incorporarle, sbagliando nella fase di replicazione arriva a estinguersi”.

Secondo i ricercatori giapponesi il virus avrebbe accumulato troppe mutazioni nella proteina nsp14 per effetto dell’interazione con un enzima, Apobec3A, che è molto attivo nella difesa contro i virus. “Questo è un enzima che conosciamo bene anche per gli studi che conduciamo da anni sui tumori - ricorda Novelli -. La loro ipotesi è che questo enzima, molto presente in Giappone, possa aver facilitato l’accumulo di errori nell’Rna virale portando a una sorta di ‘auto distruzione’ del virus. Un po’ come a dire che i giapponesi abbiano una sorta di dotazione naturale di quel processo indotto dal farmaco Msd. Ma è un'ipotesi tutto da dimostrare, e potrebbe riguardare al massimo un sottogruppo, di certo non l’intera popolazione”.

“Non ritengo possibile che il crollo dei casi sia attribuibile ad una questione genetica, e che quindi queste mutazioni abortive possano aver generato una drastica riduzione casi”, aggiunge il genetista. E allora come si può spiegare quello che sta accadendo in Giappone? Probabilmente l’attuale trend è un mix di diversi fattori tra i quali gioca un ruolo chiave l’alto tasso di vaccinazioni. “Va inoltre considerato che in Giappone c’è una radicata cultura di grande attenzione verso l’uso della mascherina, il distanziamento personale e l’igiene personale che, insieme a una buona adesione alla campagna vaccinale, possono aver giocato un ruolo fondamentale nell’interruzione delle catene di trasmissione”, aggiunge Novelli. 

Va poi considerato che l’attuale trend del Giappone non è necessariamente destinato a perdurare nel tempo. Se, poniamo caso, la nuova variante Sudafricana dovesse imporsi grazie ad alcune caratteristiche che la contraddistinguono come nuova variante dominante, i contagi potrebbero nuovamente ripartire ovunque, anche in Giappone. “Potrebbe accadere quello che abbiamo già visto in Cina. Lì si era arrivati praticamente all’azzeramento dei casi con il ceppo originario. Ma in un secondo momento sono tornate le infezioni con la predominanza di nuove varianti”, conclude Novelli.

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