Issei Kato/Pool Photo via AP 

Editoriali

L'incredibile bazooka asiatico da 430 miliardi

Redazione

Il pacchetto di stimoli senza precedenti è un test sul capitalismo futuro  

Il Giappone lancia un pacchetto di stimoli senza precedenti di 56 trilioni di yen, 430 miliardi di euro (le attese erano per 300) per rilanciare la terza economia del mondo: lo ha annunciato il primo ministro liberaldemocratico Fumio Kishida, da poco confermato alla guida del paese. Il piano illustrato in diretta tv “è sufficiente per rassicurare il popolo giapponese e dargli speranza”. Il Giappone, dove nonostante i ritardi iniziali le vaccinazioni hanno raggiunto l’80 per cento della popolazione, non sembra avere gli stessi problemi di Usa ed Europa: l’inflazione è cresciuta di appena lo 0,1 per cento, i prezzi al consumo sono in discesa dello 0,7, non si vedono rimbalzi del Pil, la disoccupazione resta ai minimi del 2,8 per cento. Dunque? Si tratta di una mossa preventiva, anche per scongiurare le ripercussioni delle minori esportazioni, e che ribalta decenni di politica economica con bassi tassi d’interesse, bassi consumi a favore dell’export, il primo debito pubblico del mondo, e con rating non smagliante di A+, ma assorbito dal mercato interno, banche e privati.

Ora però governo e Bank of Japan hanno iniziato a rivoluzionare questa sorta di religione. Kishida lo chiama “Nuovo capitalismo”: l’obiettivo è mettere soldi nelle tasche delle famiglie e delle grandi imprese, ma soprattutto dei giovani per i quali sono previsti bonus di 765 euro fino a 18 anni, 38,2 miliardi di finanziamenti ai fondi universitari, mentre 23 miliardi andranno alle piccole e medie aziende. Per questo il governo emetterà obbligazioni che la BoJ, formalmente indipendente ma alla quale l’esecutivo indica le priorità di politica economica, non mancherà di aderire. Così anche ad Oriente si gonfia la massa di debito. Il che sarà a livello globale uno dei problemi del domani, e già ora se ne studiano le soluzioni: su tutte l’allungamento concertato delle scadenze, garantite da rating medio-alti. Il che per inciso presuppone emittenti forti come la Federal reserve, la Bce e anche la Boj; mentre taglia le gambe ai fautori del sovranismo debitorio, in Italia come in Ungheria.

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