Dose di imbarazzo 

La terza dose mette nei guai il giornalismo a tesi modello Report 

Luciano Capone e Giovanni Rodriquez

Complotto di Big Pharma o buon modello Israele? Il giornalismo della trasmissione Rai sarà a tesi, ma quando le tesi sono due e in contraddizione il guaio è doppio. Così il booster mette a nudo i guai del programma di Ranucci

Dopo la recente e discussa puntata di “Report” sui vaccini, diversi commentatori ne hanno criticato il metodo giornalistico “a tesi”: si parte da una convinzione (spesso che “c’è del marcio”) e si cercano tutte le prove che la confermano, scartando quelle che la confutano. Così è facile finire fuori binario e fornire un’informazione distorta. Il giudizio stavolta va parzialmente rivisto. Il problema, almeno nell’inchiesta sulla “terza dose”, non è che ci sia una tesi. Ma che le tesi siano tante, e per giunta in contraddizione tra loro. E lo si capisce dopo un recente intervento di Sigfrido Ranucci, capo della squadra di “Report”. 

 

Recentemente, in un intervento televisivo, Ranucci ha suggerito di seguire il modello Israele sulla terza dose (booster) per arginare la quarta ondata. Il contrario di ciò che affermava la sua inchiesta. L’intera puntata della scorsa settimana, tra interviste e commenti, tentava di dimostrare – anche in questo caso in maniera piuttosto confusa – che quello del booster sia un “ovvio business delle aziende farmaceutiche” a cui “conviene vendere ai paesi ricchi la terza dose piuttosto che la prima e la seconda ai paesi poveri”. C’è anche “una questione etica”, ricordava Ranucci. Dalla puntata vista da milioni di telespettatori emergeva che “non ci sono prove che mostrano il bisogno della terza dose per tutti”, che la terza dose per tutti richiesta da Pfizer è stata bocciata in Usa dalla Fda nonostante le indicazioni opposte del presidente Joe Biden e tutto questo perché ci sono stati scienziati che hanno “avuto il coraggio di contraddire l’uomo più potente del mondo”. E, di conseguenza, di andare contro agli interessi di Big Pharma che è “avida” e punta a fare sempre più “profitti” attraverso il “business della terza dose”. Insomma, nessuna evidenza scientifica sull’efficacia del booster e assenza di dati che ne dimostrino la necessità da un lato, gli interessi economici dall’altro. Una stroncatura senza appello.

 

Ma dopo pochi giorni arriva il colpo di scena. Ranucci, nel tour televisivo di difesa del lavoro di “Report” sui vaccini, spiega che il modello al quale bisogna guardare è Israele, il paese che, non solo per primo al mondo ha aperto alla terza dose a tutta la popolazione adulta, ma che dallo scorso agosto l’ha anche estesa ai minorenni fino a 12 anni. “Io preferisco guardare all’esempio di Israele, che è avanti a noi e agli altri paesi di tre mesi – ha detto intervenendo ad “Agorà” –. Loro hanno avuto un’importante quarta ondata a luglio ma hanno avuto la capacità di monitorare l’andamento degli anticorpi, e quindi è come se noi avessimo la possibilità di vedere un trial allargato e di avere dei dati in anticipo, che è un fatto non trascurabile. Vedendo risalire i contagi loro sono partiti immediatamente con la terza dose visto che l’efficacia del vaccino scema con il passare del tempo, cosa che sta avvenendo anche in Italia. E quindi partire da subito con la campagna per la terza dose è stato fondamentale”.

 

Sembra improvvisamente sparito il problema della carenza di dati che, evidentemente, non si basano più sullo studio su 300 persone presentato da Pfizer ma su circa quattro milioni di terze dosi somministrate in Israele in quasi quattro mesi. In quel passaggio Ranucci contesta, forse inconsapevolmente, anche l’altra criticità sollevata dalla puntata di “Report”: il monitoraggio degli anticorpi nella popolazione, che nessuna autorità starebbe facendo in Italia per valutare la necessità del booster. Se, come ricorda Ranucci, sull’andamento degli anticorpi dopo il ciclo vaccinale primario ci sono già i dati di Israele, allora non ha molto senso denunciare la mancanza di tali studi in Italia, a meno di non ritenere che gli israeliani abbiano una risposta anticorpale diversa da quella degli abitanti delle altre nazioni. Se, come dice Ranucci, grazie a Israele abbiamo “i dati in anticipo”, che senso ha fare monitoraggi allargati in Italia considerando anche la dubbia validità di quel tipo di esami sconsigliati a più riprese da quasi tutti gli organi sanitari internazionali? Il governo sta andando proprio in quella direzione, dato che il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato che dal primo dicembre sarà chiamata a fare il booster anche la popolazione tra 40 e 60 anni.

 

E al momento non è dato di capire se per questa scelta nella prossima puntata di “Report” verrà elogiato per come tutela la salute dei cittadini o attaccato per come fa gli interessi di Big Pharma. Perché a questo punto non si capisce più quale sia il problema, se la troppa fretta nel voler fare la terza dose a tutti sotto la pressione del “business” delle case farmaceutiche o il troppo ritardo nel seguire il modello israeliano che serve a salvare le vite. Il guaio di “Report” sarà il giornalismo a tesi, ma quando le tesi sono due e in contraddizione il guaio è doppio. Così non è informazione, ma confusione. E sui vaccini ce n’è già troppa.

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