cattivi scienziati

Vaccinare i paesi poveri significa investire sulla nostra salute

Enrico Bucci

Soltanto il 2,3 per cento degli abitanti di paesi a basso reddito è stato vaccinato. Adesso che i paesi ricchi hanno ricevuto un consistente numero di dosi è importante non abbassare la guardia sul virus e agire con urgenza: le aree del mondo più povere vanno messe al sicuro

Il titolo di prima pagina del 24 maggio 2020 sul New York Times si riferiva alla perdita incalcolabile corrispondente alle quasi 100.000 morti da Covid-19 negli Stati Uniti raggiunte a quella data. Oggi abbiamo superato i 700.000 morti negli Usa e i 130.000 in Italia. Persone che, in grandissima parte, sono morte lontano dai propri cari, con il conforto di estranei bardati come astronauti; componenti di una famiglia, di un gruppo sociale, semplicemente scomparsi, senza che fosse possibile nemmeno dar loro un ultimo abbraccio. Rimossi di punto in bianco dalle loro vite, dai loro amici, dalle loro famiglie, e morti malamente, spesso per fame d’aria.


E’ difficile riuscire a rendere adeguatamente ciò che stiamo vivendo, ma gli artisti vi riescono spesso meglio di chiunque altro. Suzanne Brennan Firstenberg ha piantato sul Campidoglio oltre 700.000 bandierine bianche, una per ogni vita persa a causa del Covid-19 in Usa; e ogni giorno, con una piccola cerimonia, continua a piantare bandierine per aggiornare il terribile conto. Fra quelle bandierine, come fra le distese di croci bianche della seconda guerra mondiale, camminano persone di ogni genere, in silenzio, qualche volta si inginocchiano: bambini con le madri, anziani, chiunque abbia bisogno di cogliere davvero cosa sia significata la pandemia.


Incredibilmente, dall’inizio del 2021 abbiamo avuto a disposizione il mezzo per far sì che il mare di bandierine che rappresenterebbero i più di 130.000 morti italiani, ma anche i milioni di morti nel mondo, smetta di dilagare al ritmo impressionante osservato nel 2020. Abbiamo avuto i vaccini, e la cosa non era affatto scontata, anzi potremmo dire che è stato un successo inaspettato per la rapidità con cui sono stati identificati, prodotti e distribuiti in un numero di dosi somministrate che adesso ha superato i 6,27 miliardi nel mondo, a coprire con almeno una dose oltre il 45 per cento di tutti gli individui della specie umana. Eppure, questo sforzo che ancora continua, al ritmo di oltre 27 milioni di nuove dosi somministrate ogni giorno, ha un punto di caduta importante: solo il 2,3 per cento degli individui che vivono in nazioni a basso reddito è stato raggiunto. Se quel 45 per cento di esseri umani vaccinati con almeno una dose fosse distribuito omogeneamente nel mondo, oggi saremmo molto meno a rischio di varianti pericolose in grado di render vano lo sforzo vaccinale, e riusciremmo anche a salvare un numero molto maggiore di vite, perché la circolazione del virus sarebbe omogeneamente più ostacolata, invece di avere amplissimi serbatoi dove nessun freno è frapposto.


Le case farmaceutiche, naturalmente, sono corse a soddisfare la domanda di chi offriva condizioni più favorevoli; e continuano a farlo, ora che si prospetta una più o meno ampia campagna per la somministrazione di dosi di richiamo ulteriori. Il ruolo delle aziende è produrre e vendere al miglior offerente, e quindi è irrealistico avere aspettative diverse: ciò su cui ci si deve interrogare è la nostra capacità di rinunciare a dosi di vaccino e di investire per vaccinare non solo noi, ma anche coloro che non hanno la nostra forza economica – ciò che l’iniziativa globale Covax cerca di fare.


Saremmo disposti ad avere oggi in Italia solo il 45 per cento dei vaccinati con almeno una dose, invece di quasi il 70 per cento della popolazione con due dosi, sapendo che in quella condizione le ondate epidemiche come quella che ora è in via di terminare sarebbero molto peggiori, invece di risultare “ondine”, come le ha definite il mio amico Nino Cartabellotta? Saremmo disposti a destinare una parte molto più ampia delle risorse europee per affrontare la crisi, all’acquisto e alla campagna vaccinale dei paesi che non possono farcela, invece che al nostro Pnrr o a simili strumenti di sostegno per gli stati europei in difficoltà per la pandemia? Siamo, insomma, disposti a rischiare più vite, risorse economiche, salute e protezione, per condividere le nostre risorse con gli altri, invece di continuare sterilmente a puntare il dito contro l’economia di mercato? Se la risposta continuerà a essere negativa, anche da questa nostra scelta Sars-CoV-2 trarrà un vantaggio evolutivo.

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