IL FOGLIO SALUTE

Come cambia la sanità nelle città. Il caso di Milano

Eva Massari

“I medici devono uscire dalle mura ospedaliere e andare nei quartieri per avere un contatto diretto con gli abitanti”. Parla l’assessore del capoluogo lombardo 

Il tema dell’urban health, così come indicato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, rimanda al concetto di salute come punto focale del benessere di una società, ed è da intendersi non solo come assenza di malattia ma come l’insieme di diverse caratteristiche tra le quali si annoverano quelle sociali, culturali, psicologiche e di rigenerazione urbana che insieme dovrebbero formare la base di una società in salute. La pandemia ha rivelato quanto sia necessaria una programmazione in tal senso, e di questo argomento parliamo con Gabriele Rabaiotti, assessore alle Politiche sociali e abitative del Comune di Milano, che da anni orienta il proprio lavoro in questa prospettiva.

 

 

Assessore Rabaiotti, quali sono i temi fondamentali intorno ai quali ruota il concetto di one health in una città metropolitana?
Possiamo ragionare intorno a tre parole chiave. La prima è la consapevolezza. Lo schema di lavoro delle città deve essere quello di sostenere un sistema che faccia aumentare in parallelo la consapevolezza e la conoscenza dei temi della salute e della salute pubblica, che inevitabilmente mettono in relazione l’individuo e la comunità. Non si può poi prescindere dalla prevenzione: è infatti fondamentale sapere di poter far riferimento a strutture di supporto che consentano di lavorare, in sinergia, in termini preventivi. Aggiungerei una terza parola, affiancamento. Bisogna che le strutture siano in grado di seguire le persone laddove il percorso sanitario richieda un accompagnamento anche a lungo termine. Questo è un pacchetto del quale chi amministra deve tener conto, e che oggi può essere applicato a tutto il mondo del benessere e della salute.

 

La pandemia ci ha messo di fronte al tema della salute e dei servizi territoriali. E’ importante poter raggiungere tutti i cittadini…
Occorre riuscire ad arrivare in tutti i quartieri, e soprattutto tornare in quelli popolari dove abitano anche persone che provengono da culture molto diverse, con livelli di formazione variegati. Bisogna arrivare lì usando un linguaggio semplice ed efficace, fare uno sforzo comunicativo orientato a quel tipo di attenzione perché, lo abbiamo visto e sperimentato, col tempo si possono ottenere risultati importanti. Oggi serve un campo di applicazione più popolare, dove lingue, linguaggi e culture sono molti e diversi tra loro. Questo è uno dei gap da colmare, e sarà interessante osservare come un punto di rottura col passato potrà diventare una splendida opportunità.

 

Cosa si potrebbe fare?
Ad esempio, in via sperimentale, si potrebbero scegliere alcune scuole in questi quartieri nelle quali andare a fare formazione e informazione. Partire dalle scuole è necessario perché sono l’unico punto di incontro rimasto tra istituzione e famiglia, ed è lì che si deve lavorare con più insistenza ed energia ma, e non è un paradosso, con una spinta dolce.

 

Cioè?
Stiamo parlando di un ambito di applicazione che normalmente mette distanza e paura, ovvero quello della salute, della malattia, del rischio della vita. Ecco, sono temi che specialmente per i giovani tendono a essere lontani, estranei, e la sfida è riuscire a dar loro una consapevolezza graduale, veritiera ma non terrorizzante. Si potrebbe per esempio utilizzare lo sport come veicolo potente di contatto e comunicazione rispetto al tema del benessere, della vita positiva e in salute. Nei quartieri di cui parlavo prima c’è fame di sport, e questa potrebbe essere l’esca per poi ragionare in modo più ampio sul tema della salute pubblica. Sarebbe molto interessante mettere in rete le competenze, e magari anche gli errori, delle grandi città anche a livello europeo, per creare dei modelli virtuosi in tal senso.

 

E per quanto riguarda Milano?
A Milano siamo pronti a mettere sul tavolo un ragionamento sulla legge 285 (285/1997, sulle Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, ndr) che riguarda i minori, dove un capitolo è dedicato ai servizi specializzati e alle funzioni a forte specializzazione. Noi stiamo lavorando con alcuni ospedali e con delle fondazioni che operano in ambito sanitario per parlare della salute a tutto tondo, in modo da costruire un pacchetto che possa entrare nella scuola in modo strutturato. La 285 punta su molti aspetti, tra i quali c’è la funzione a forte specializzazione che prevede di riportare nella scuola quello che aveva e a un certo punto ha perso, quindi la componente legata al supporto psicologico, alla sessualità e alla cura della relazione che sono temi oggi perlopiù relegati – qualche volta malamente – agli ospedali e sottratti al dibattito e al confronto sociale. La componente ospedaliera che esce dalle mura ed entra nelle scuole è importantissima, così come lo è lo ‘sconfinamento’, e con questo intendo che siano i medici ad andare nelle scuole e nei quartieri per un confronto diretto con gli abitanti. Bisogna insistere su questo tema affinché mondi diversi si parlino e coabitino negli stessi spazi.

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