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Più risorse, meno burocrazia

Irccs, risorsa da valorizzare per il Servizio sanitario nazionale

Silvio Garattini*

Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico organizzativo dovrebbero rappresentare un supporto fondamentale per la sanità pubblica da molti punti di vista: organizzativo, diagnostico, terapeutico e riabilitativo

Giovanni Apolone sul Foglio del 26 marzo scorso propone una serie di interessanti considerazioni che fanno parte del tentativo di suscitare, anche in corso di pandemia, una revisione del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) sono delle tipiche strutture italiane che dovrebbero rappresentare un supporto fondamentale per il funzionamento del Ssn da molti punti di vista: organizzativo, diagnostico, terapeutico e riabilitativo. Comprendono strutture pubbliche e private che hanno caratteristiche diverse, con letti o senza letti, fondazioni di varia natura collegate o no ad attività che hanno scopo di lucro. Mancano purtroppo strutture che sarebbero molto importanti per il futuro quali istituzioni che si occupino di informatica, intelligenza artificiale, learning machines, robotica e quant’altro. 

 

Molte sono le funzioni che dovrebbero svolgere: anzitutto la ricerca indipendente, non profit che nel nostro paese è carente rispetto alla ricerca profit interessata a sviluppare prodotti non sempre nell’interesse degli ammalati. Basti pensare alla carenza di ricerche per le malattie rare, per differenziare benefici e rischi fra maschi e femmine, fra bambini e anziani, nonché ricerche comparative per prodotti che hanno la stessa indicazione terapeutica. Il discorso non vale solo per i farmaci, ma per i diagnostici, per i dispositivi medici, le apparecchiature scientifiche. Il Ssn è alla mercé del mercato quando invece potrebbe esserne un regolatore grazie all’azione degli Irccs

 

Oggi il Ssn spende per la ricerca una spesa irrisoria, circa lo 0,2 per cento del suo bilancio (115 miliardi di euro) mentre dovrebbe spenderne almeno il 3 per cento in armonia con l’accordo di Lisbona (non mantenuto). Si dovrebbero sostenere bandi per la ricerca sui problemi della prevenzione con la partecipazione anche di sociologi, antropologi ed esperti della comunicazione. Lo stesso discorso si può fare per la formazione, dove c’è un gran bisogno di cambiamenti culturali che privilegino la prevenzione, cenerentola della medicina, ma essenziale per rendere sostenibile il Ssn. Le malattie croniche per oltre il 50 per cento non piovono dal cielo, ma dipendono dai nostri stili di vita. Il 70 per cento dei tumori è evitabile. Manca nella cultura medica l’attenzione alla prevenzione che purtroppo può rappresentare un conflitto di interessi perché la prevenzione è il principale nemico del grande mercato della medicina. Infine la informazione. Oggi tutti i sanitari sono vittime della informazione industriale, mentre gli Irccs potrebbero rappresentare una grande fonte di informazione indipendente capace di comunicare a tutti gli operatori conoscenze meditate e critiche su benefici e rischi di qualsiasi intervento medico.

 

Sembra tutto logico, ma non è così. Anziché organizzare il lavoro dei 52 Irccs per farli collaborare e creare una serie di reti collaborative è la burocrazia che decide cosa si deve fare, quali caratteristiche debba avere l’attività dei singoli Irccs attribuendo a qualcuno aree che abbracciano tutta la medicina e ad altri aree molto ristrette, mentre dovrebbero essere gli Irccs a identificare le aree in cui sono più forti e organizzare dal basso gruppi collaborativi flessibili e temporanei. Nel campo della ricerca non dovrebbero essere solo gli Irccs a proporre progetti, ma dovrebbe essere il Ssn a richiedere la soluzione di problemi urgenti. Invece tutta l’attenzione della burocrazia che governa gli Irccs a livello nazionale e regionale è rivolta a porre ostacoli e a rendere difficile qualsiasi attività. Ad esempio la presentazione dei progetti di ricerca ha tutta una serie di restrizioni burocratiche da scoraggiare qualunque ricercatore straniero volesse entrare in un Irccs. Se i giovani vogliono presentare un progetto di ricerca devono aver pubblicato almeno due lavori scientifici come primo o ultimo autore, devono avere un serie di dati bibliometrici che non hanno nulla a che fare con le caratteristiche del progetto. Infatti il progetto dovrebbe essere giudicato per il suo merito e non per la posizione che occupa il suo proponente. Si dovrebbero sostenere progetti a lungo termine legati a gruppi di ricercatori. I progetti importanti possono derivare da un solo ricercatore, ma la loro esecuzione richiede masse critiche di ricercatori con varie competenze. Non parliamo poi dei tempi perché le regole sulle scadenze sono spesso un optional. Non si sa quando si devono presentare i progetti, quando vengono selezionati i progetti migliori, quando arrivano i finanziamenti.

 

Infine è complicatissimo sapere cosa è rimborsabile. Chi è stato assunto a tempo indeterminato non può essere rimborsato per il suo stipendio, come pure in molti casi chi viene pagato con partita Iva. Se un determinato Irccs vuole collaborare con un altro deve fare una bando perché l’amministrazione pubblica lo considera un servizio. Non sarebbe più semplice evitare controlli preventivi e invece intensificare i controlli a posteriori? Credo che tutti gli Irccs se fossero messi in condizioni di operare, senza essere ritenuti a priori dei gruppi che vogliono evadere le regole, potrebbero fare un magnifico lavoro per migliorare il Ssn. Nell’attuale discussione sui fondi europei si sentono molte parole ma raramente il termine ricerca, come se non fosse la premessa per migliorare il ruolo del Ssn per la salute del singolo e della società. Per valorizzare gli Irccs occorrono certamente maggiori risorse che tuttavia sarebbero inutili senza una importante deburocratizzazione che va realizzata anche per lo stesso Ssn. Vogliamo aprire un confronto costruttivo?

 

Silvio Garattini, presidente Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs

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