Il Centro Vaccinale allestito all’interno dell’Auditorium Santa Cecilia a Roma (LaPresse)

Un esempio di scuola

L'abuso della precauzione inguaia i vaccini ma anche l'economia

Pasquale Cirillo e Corrado Sinigaglia

Il principio di cautela e prevenzione è pensato per situazioni di incertezza, che potrebbero avere conseguenze sistemiche e irreversibili. E gli effetti della campagna di vaccinazione non rientrano in questa casistica, semmai la combattono

Forse mai come in questo periodo, sarebbe lecito agire con precauzione nell’invocare l’omonimo principio. C’è il pericolo, infatti, di trasformare un utile strumento di difesa dall’incerto in un banale e non necessariamente ‘cauto’ principio di inazione. Che cosa dice il principio di precauzione? Il principio afferma che, se una data azione o scelta è sospettabile di causare un danno notevole alla società, poniamo in ambito sanitario o ambientale, tale azione o scelta non dovrebbe essere intrapresa in assenza di un elevato grado di confidenza circa la sua sicurezza. Un simile principio è espressamente citato, per esempio, nell’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Ma quali sono le situazioni in cui il principio di precauzione può essere scientemente invocato, senza cadere nell’immobilismo? Per prima cosa, bisogna avere a che fare con un evento di carattere sistemico, in grado cioè di impattare sull’intera società o su grandi parti di essa. Deve trattarsi, inoltre, di un evento potenzialmente irreversibile, i cui effetti nefasti non possano essere recuperati, portando a esiti rovinosi ed esiziali.

 

Un evento caratterizzato da una componente moltiplicativa, ossia in grado di diffondersi rapidamente su larga scala. L’aspetto più importante da tenere presente è che il principio di precauzione è pensato per le situazioni di incertezza, in cui non è possibile stabilire a priori le conseguenze di una decisione o non si è in grado di attribuire a tali conseguenze una qualche probabilità. In altre parole, non si è capaci di quantificare il rischio, né di classificarlo, rendendo in pratica inutile l’analisi costi-benefici, senza neppure arrivare agli esiti estremi del “teorema triste” di Martin Weitzman. È opportuno sottolineare che tale incapacità è spesso hic et nunc, ossia legata a una momentanea assenza di informazioni, dati e teorie, ricordandosi sempre che l’assenza di evidenza non implica l’evidenza di assenza (errore molto comune a livello politico). Tutto questo significa che decisioni ispirate al principio di precauzione dovrebbero essere riconsiderate frequentemente, valutando così la possibilità di mantenerle o di superarle, con l’aggiunta che l’onere della prova dovrebbe ricadere su coloro che propongono una determinata scelta (compresa quella di non agire, che è sempre una forma di agire).

 

L’attuale pandemia rappresenta un esempio di scuola. Nelle fasi iniziali, la mancanza di dati attendibili, l’effetto sorpresa e il timore per gli esiti nefasti (basato anche sulla nostra conoscenza storica di eventi simili, che sappiamo essere in grado di generare un numero di vittime elevato con una probabilità tutt’altro che irrisoria) hanno giustamente consigliato a diversi Stati il ricorso al principio di precauzione, tradottosi il più delle volte nella scelta di un lockdown generalizzato, anche se con qualche nota eccezione come quella svedese. Lo scopo del lockdown era, infatti, quello di ragionare a bocce ferme e di minimizzare i danni, mentre si cercava di capire il da farsi e si raccoglievano informazioni. Col passare del tempo, i diversi Stati hanno iniziato a sviluppare strategie differenti, utilizzando le nuove evidenze. Questo ha in taluni casi portato a nuovi lockdown, che non sono però più ascrivibili al principio di precauzione in quanto tale, quanto piuttosto sono il risultato della scelta di un determinato modello epidemiologico (nel migliore dei casi).

 

 

Sempre in ambito pandemico, un abuso del principio di precauzione è, invece, quello legato alla discussione sui vaccini. Benché sia innegabile che ogni vaccino possa avere effetti negativi per il singolo, tali effetti, per quanto debbano essere contenuti, non hanno carattere moltiplicativo e sistemico (anzi, è l’effetto positivo del vaccino ad essere sistemico!). In altre parole, gli effetti collaterali che possono colpire un dato individuo non si propagano a terzi, cosa che invece accade con una malattia infettiva. Ed è questo il motivo per cui risulta sciocco e metodologicamente errato comparare il rischio di contrarre il Covid19 con quello di essere mangiati da uno squalo o colpiti da un fulmine. Il primo è un evento generatore di contagio, con effetti a carattere sociale, i secondi no (hanno una componente additiva, ma non moltiplicativa). Esiste cioè, e lo sappiamo bene, il rischio di una pandemia da Covid19, che i vaccini ci aiutano a contrastare, mentre ci sentiamo di escludere quello di pandemie da squali e saette, al di fuori di Hollywood naturalmente.

 

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