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Roma Capoccia - la tradizione abbandonata

Giovedì gnocchi? Dove sono finiti gli gnocchi "alla romana"

Giovanni Battistuzzi

A Roma si mangiavano di semolino e al dì di magro, un giorno dopo del poi fortunatissimo detto. La sparizione della ricetta nei ristoranti della Capitale

Si fa presto a dire “giovedì gnocchi”. Certo magari qualcuno li mangiava davvero gli gnocchi al giovedì, ma chissà in quanti. Certo c’era la poesiola che faceva: “Er mercoledì, co' un signor stufatino, / giovedì gnocchi, da leccarte er piatto, / er venerdì zuppa de pesce... Musa, / quasi come se aggusta 'n paradiso. / Sabbito trippa fatta come s'usa. / La domenica poi, 'gni sempre er coco / je va de scappricciasse: / supprì ar riso, da magnattene cento e dico poco!”. Ma era una poesiola.

Certo è che non erano di patate gli gnocchi a Roma, che di patate ce ne erano ben poche almeno sino alla metà dell’Ottocento. Nei primi decenni del secolo di patate se ne producevano in Italia, secondo le stime, meno di centocinquanta mila tonnellate; nella seconda a stento si raggiungeva il milione. La maggior parte di queste nel Regno delle Due Sicilie. A Roma gli gnocchi erano di semolino. Si cuoceva il semolino nel latte, si faceva restringere l’intruglio, si aggiungeva del pecorino e un uovo. Poi lo si metteva su di una spianatoia, ci si faceva un bel salamone e lo si tagliava a fette. Queste venivano messe in un tegame, ci si buttava sopra qualche ricciolo di burro o un filo d’olio, un altro po’ di pecorino e si infornava. Almeno questo erano le istruzioni contenute in quella che è la più antica ricetta dei gnocchi al semolino arrivata a noi, quella contenuta ne “La nuova cucina economica” di Vincenzo Agnoletti, edito a Roma nel 1803. Non vengono chiamati “gnocchi alla romana”, ma non ci sono altre ricette di gnocchi ed è la più simile a quella che è arrivata sino a noi e che ebbe successo nazionalpopolare negli anni Ottanta. Dava notizia Vincenzo Agnoletti che gli gnocchi di semolino erano cibaria da dì di magro, quindi il venerdì, un giorno dopo del poi fortunatissimo “giovedì gnocchi”.

Cosa sia accaduto tra i primi anni dell’Ottocento e gli ultimi non lo possiamo sapere. Quel che sappiamo è che all’interno di La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, Pellegrino Artusi classificò gli gnocchi di semolino semplicemente come “gnocchi di semolino”, mentre quelli “alla romana” erano fatti con “farina, grammi 150. Burro, grammi 50. Cacio gruiera, grammi 40. Parmigiano, grammi 20. Latte, mezzo litro. Uova, N. 2”. Certo c’era scritto che “questi gnocchi, che io ho modificato e dosati nella seguente maniera, spero vi piaceranno come sono piaciuti a quelli cui li ho imbanditi”. Perché Pellegrino Artusi faceva un po’ quel che voleva, era scrittore, non uno storico.

Sono spariti gli gnocchi alla romana da Roma. C’è chi dice che si mangiano, bene, ancora da “Il raviolo” a Vigna Clara. Proveremo.

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