(foto Unsplash)

Roma Capoccia

L'insostenibile leggerezza di una classifica sulle città del mondo

Andrea Venanzoni

Roma è quarta, secondo Resonance Consultancy, per “livability”e “lovability”. Ma sono unità di misura per turisti, in una capitale pensata tanto per i visitatori e poco per i cittadini

Ogni volta che viene rivelato al mondo un qualche studio, report, documento sulla vivibilità cittadina la mente corre subito a quella celebre frase di Milan Kundera, “vivere: nel vivere non c’è alcuna felicità. Vivere: portare il proprio io dolente per il mondo. Ma essere, essere è felicità. Essere: trasformarsi in una fontana, in una vasca di pietra, nella quale l’universo cade come una tiepida pioggia”. In questo caso parliamo della classifica delle migliori città europee stilata da Resonance Consultancy che ogni anno, ricorrendo a un team multidisciplinare, stila una graduatoria delle città migliori da visitare e, in certa misura, da vivere. Perché “in certa misura”? Perché, come nella kunderiana differenza tra vivere ed essere, in questi campionati europei della vivibilità cittadina a farla da padrona è quasi sempre, se non addirittura sempre senza il quasi, la vivibilità dell’effimera consistenza turistica.

Si capisce, per carità, la trepidante esultanza dell’amministrazione capitolina che deve comunicativamente sposare qualunque risalita verso l’alto per sciorinare il solito rosario politico del lavoro che paga, dei risultati che finalmente dopo tanto duro impegno si vedono e vengono apprezzati e via dicendo. Non fosse però che andando ad analizzare questo quarto posto di Roma, in ascesa di ben quattro posti dopo il precedente “ranking” in cui la città eterna figurava ottava, si snuda la consistenza della rivelazione, si espongono alla calda luce del giorno i suoi parametri e i suoi paradigmi. Pur comprendendo che sia documento internazionale e che pertanto la lingua franca globale chiamata inglese ne sia cardine irrinunciabile, trovarsi davanti categorie come “livability” e “lovability” è roba davvero da far scorrere la mano alla fondina. Soprattutto quando poi scopriamo che la “livability”, e qui torniamo a Kundera per la terza volta, più che una vivibilità quotidiana, quella dei comuni cittadini che Roma la popolano e dolentemente la subiscono, è intesa nel senso di fruizione delle bellezze storiche, culturali, paesaggistiche, della presenza di ville urbane e giardini.

La “lovability”, termine urticante come forse peggio solo potrebbe risultare “enjoyability”, indica invece la vita notturna, la movida. Ed ecco qui il punto, il vero tema, a voler essere disfattisti o realisti il problema: la divaricazione tra la Roma oleografica del Grand Tour pecoreccio della masse in calzini bianchi e ciabatte, vocianti nelle piazze assolate, coi piedi a penzoloni nell’abisso del mancato decoro e nelle acque delle fontane cittadine, e la massa di cittadini che ogni giorno, ogni santissimo giorno, si alzano la mattina, si fanno il segno della croce o indulgono in altri riti sacramentali a seconda della propria persuasione religiosa e si avviano lungo il Gòlgota dei mezzi pubblici di trasporto per raggiungere il luogo di lavoro o di studio. Per carità, anche il cittadino romano può essere turista della sua propria città e godere e bearsi di tutto ciò che la classifica di Resonance delinea come punti di forza dell’Urbe, ma la vivibilità premiata, per l’ennesima volta, è quella statica e oleografica di una città inerte, sotto teca, pensata a misura esclusiva di turista e molto, molto meno di cittadino.

Non è snobismo, ma semplice realismo. Il cittadino vive la quotidianità urbana in maniera radicalmente diversa da chi soggiorna qui per sette, dieci giorni; il turista può trovare persino divertente ed esotico vedersi passare davanti un vagone metro con densità antropica da trenino di Calcutta e con tempi di percorrenza da era geologica, il cittadino, sia esso lavoratore o studente, invece lo trova molto meno divertente.
Il cittadino deve fruire di servizi basici di cui il turista non ha bisogno. E su quel versante il cantiere romano è molto in affanno. Un po’ come tutta quella costellazione di autentici cantieri infrastrutturali che saturano il traffico cittadino.
Non per caso, nella classifica de Il Sole 24 Ore anno 2023, limitata alle città italiane e inerente la qualità della vita, Roma risulta 35esima su 107 concorrenti, perdendo addirittura quattro posti e con un 104esimo posto in tema di sicurezza.

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