Foto LaPresse

roma capoccia

Ennio Morricone al MoMa di New York, tra Roma e il mondo  

Andrea Venanzoni

Il museo omaggia il compositore romano con una mostra in cui vengono mostrati 35 film la cui colonna sonora è stata realizzata da Morricone e ben 17 restauri. Un genio, il suo, legato profondamente, visceralmente, carnalmente alla Capitale

A Tor Marancia, lo sguardo pensoso e buono di Ennio Morricone fende i palazzoni popolari. Un murales enorme realizzato nel novembre del 2022, per iniziativa della A.S. Roma e creato da Lucamaleonte, a due anni dalla morte del compositore, nato il 10 novembre 1928 e scomparso nel luglio del 2020. La mano sotto il mento, lo sguardo pensoso, santo patrono laico di una città in cui è nato, che ha amato e che ha trasfigurato psico-geograficamente e armonicamente nelle sue stesse colonne sonore. Già nel luglio del 2020, sulle mura di Trastevere, a via delle Fratte, luogo natio del musicista, all’angolo con via dei Fienaroli era apparso un significativo e iconico murale, a firma di Harry Greb, che immortalava Morricone con il dito sul naso nel gesto del silenzio e una statuetta dell’Oscar stretta nelle mani, ideale celebrazione dei due Oscar vinti, il primo alla carriera e il secondo per la colonna sonora del film di Quentin Tarantino ‘The Hateful Eight’. E proprio Tarantino spese le parole più commoventi alla morte del regista, scrivendo “Il Re è morto”. In precedenza, aveva detto di amarlo più di Mozart, nonostante tra i due qualche tensione in termini lavorativi si fosse registrata. D’altronde, sia il regista americano che il compositore romano sono figure dotate non solo di indubitabile carisma ma anche di carattere pronunciato, necessario per solcare le spesso agitate acque di un mondo come quello del cinema.

Proprio in questi giorni, il MoMa di New York omaggia il compositore romano con una mostra in cui vengono mostrati 35 film la cui colonna sonora è stata realizzata da Morricone e ben 17 restauri. Il genio di Morricone è stato indubbiamente un genio romano, legato profondamente, visceralmente, carnalmente alla città. Intelligenza acuta e vocata alla internazionalità, Morricone è stato prima di tutto un amante della città in cui è nato, cresciuto e vissuto. Un innovatore di talento capace di definire una autentica semantica nuova del suono, ancorando l’essenza della armonia musicale al tessuto narrativo e visivo dei film, facendo penetrare ogni nota, ogni suono, ogni rumore negli interstizi delle immagini snocciolate su schermo. Dal Conservatorio di Santa Cecilia, frequentato in tenera età, a Hollywood, con un impressionante totale di colonne sonore che ha superato le quattrocento, Morricone è stato uno di quei compositori la cui musica, pur nella eterogenea varietà, si rendeva immediatamente identificabile. Dotato di un timbro, di una “voce” profonda, inconfondibile, bastavano pochi accenni di nota, pochi secondi e si riusciva subito a indovinare l’autore di quelle pastose, evocative cavalcate musicali. Senza dubbio, uno dei grandissimi capaci di rendere il suono cinema, non mera sottolineatura di scene e dialoghi, ma carne viva nella celluloide, cuore pulsante, irrorato di sangue e gioia.

Morricone è divenuto una icona, un dispositivo culturale capace di replicarsi in ogni contesto, di suscitare fascinazione in musicisti e artisti dalle sensibilità in apparenza altra. I Metallica hanno per anni aperto i loro concerti suonando “L’estasi dell’oro”, tratta dalla colonna sonora del capolavoro di Sergio Leone “Il buono, il brutto, il cattivo”. Per usare le parole del cantante e chitarrista James Hetfield in occasione della scomparsa del compositore, “il giorno in cui abbiamo suonato per la prima volta ‘The Ecstasy of Gold’ come nuova introduzione ai nostri concerti nel 1983 fu davvero una magia! Da allora è diventato parte delle nostre vene, del nostro respiro profondo, dei nostri pugni, delle nostre preghiere e dei nostri rituali prima di ogni concerto”. Inutile sottolineare come il sodalizio con Sergio Leone, autentico inno di due sensibilità romane protese alla universalità, abbia prodotto un livello talmente alto di arte da essere difficilmente replicabile. E fu una collaborazione davvero romana: come ricorda Piero Negri Scaglione in “Che hai fatto in tutti questi anni” (Einaudi), bel libro sulla lavorazione di “C’era una volta in America”, all’epoca Morricone viveva a via Libano a poca distanza dalla villa di Leone, per il quale quella vicinanza era conforto e quiete nel tumulto della lavorazione del film.

Di più su questi argomenti: