Un po' razionalismo sovietico, unpo' Chrysler building, un po' futurismo (sembra un router). Foto Imagoeconomica

Benvenuti in via Settebagni, Roma: tempio mormone

Stefano Ciavatta

Flânerie ai limiti del Gra, dove i mormoni comprarono una fattoria e ora hanno edificato una chiesa che non sfida San Pietro 

Roma. Si vedono dal belvedere spalancato del romantico bar-ristorante sopra l’osservatorio di Monte Mario ma il cielo di Roma è facile ai prodigi e da qui il leggendario proprietario Eufemio Del Buono vedeva anche gli ufo. Si scorgono dal balcone canonico del Gianicolo azzoppato dai fulmini. Le due guglie del nuovo tempio mormone fanno ormai parte dello zodiaco capitolino. L’angelo in vetroresina placcato d’oro, l’antico profeta Moroni del libro di Mormon, con la tromba in pugno ma senz’ali, tocca quota 47 metri e ½, 19° posto nella classifica del sacro cielo de Roma, tra la cupola della Chiesa Nuova e quella della basilica di Sant’Eugenio alle Belle Arti. Fu Alemanno a far cadere il tabù del “vincolo sanpietro”, presunto standard d’altezza della città, i Mormoni non ne hanno approfittato. Se la religione del cielo è immediata ed eterna, col tempio bisogna invece sbrigarsi: l’apertura per i non adepti scade a metà marzo.

     

Eccoci dunque davanti al tempio della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, il più grande d’Europa, edificato in calcestruzzo ricoperto di granito proprio nella Roma di Pietro e Paolo. Un po’ razionalismo sovietico, un po’ Chrysler building, un po’ futurismo (sembra un router), ma senza aria di sfida, più una boa.

    

Uscita Bufalotta del laico Gra, estremo nord in via di Settebagni ma attaccato al raccordo, sessanta ettari tra tempio, foresteria e parco, tra l’Agenzia delle Entrate e il centro commerciale Porta di Roma, ma poi nel dettaglio, tornando di sera a rimirare, ecco di fronte il lungo striscione di una pensione per cani e gatti, mentre a 100 metri luccica il blu elettrico dell’ingresso del Pascià club, storico strip-tease battezzato da Massimo Marino, a 200 sta la croce illuminata della parrocchia di Santa Maria delle Grazie dove nel 2011 Papa Ratzinger venne in visita pastorale a presidio della fede nell’ex borgata dell’agro romano.

      

Arrivando a destinazione si è presi d’assedio dai volontari, ci si sente come un Dorando Pietri della fede, ognuno tiene a dare il proprio benvenuto: gli ausiliari del traffico, i parcheggiatori, i custodi dell’ingresso pedonale, quelli dei due piazzali, il personale nella prima sala d’accoglienza e così via fino alla fine. Hanno volti e sorrisi wasp, di tutte le età, facce battute dal freddo di febbraio. E dire che secondo la vulgata mormona della More Good Foundation tutto nasce nel 1997 con la ricerca di un posto dove costruire una frugale cappella, e invece due anni dopo arriva l’acquisto dei terreni con l’idea del tempio: siamo toponomasticamente in località Casal Boccone, già Roma medievale e tenute agricole, e i mormoni comprarono una fattoria di tre piani, abbandonata ma “occupata due volte illegalmente dagli zingari”, quando ancora non c’era nemmeno lo svincolo del Gra.

     

L’aula un po’ severa da cui parte il percorso di visita è presidiata da due ragazze dello Utah in Italia per il grand tour religioso, provate dal loop del video introduttivo, ma il dio stakanov gli impone un saluto per ciascuno. Vagamente indottrinati ci si affaccia al cortile e costeggiando si arriva all’ingresso del tempio: due volontari, marito e moglie, infilano a ognuno dei copriscarpa bianchi, per non intaccare la pulizia di marmo e moquette di cui è foderato. La guida Noemi dall’Ecuador ci traghetta verso l’ostentato ma frigido confort del tempio. In una città in ginocchio da sempre per una questione di fede, questo nuovo edificio di culto è estraneo alla tradizione, un luogo spacchettato in una serie di strutture e ambienti che aboliscono il verticale: sale, salette e saloni connessi da scale e corridoi, illuminatissimi e pulitissimi. La sezione del plastico del tempio sembra lo spaccato di una nave crociera. Di tradizionale c’è il fonte battesimale: scenografico, una vasca sorretta da dodici tori in marmo a grandezza naturale. La sala dell’anagrafe invece non è ancora accessibile (la possibilità di battezzare post mortem i parenti merita un capitolo a parte).

     

Per meditare c’è un salone stile ricevimento d’albergo: specchi e lampadari di Murano, luminosità spietata ma con fiori finti e neanche venti sedute. La sala delle ordinanze non ha finestre, avvolta da un murales alla Truman Show di paesaggi italiani in cartolina. Se in quell’albergo diffuso che è il centro di Roma l’unica esperienza autentica è entrare nelle chiese, nella periferia mormone si rimane delusi: dove ci si inginocchia? Dove ci si raccoglie lontano dagli altri? E’ tutto così spudoratamente democratico e ravvicinato.

     

Molti dipinti sono del londinese contemporaneo vivente Simon Dewey, ovviamente membro della chiesa. Varie scene di Gesù riprodotte in canvas sparse ovunque come riempitivi: volti da harmony americani, un Fabio Lanzoni in versione pia, dove la teologia della fisiognomica va a farsi benedire. Il tempio è una chiesa signorile, da smart city, altro che sincretismo romano.

       

Fuori dal tempio c’è il chillout innocuo del visitor center, sempre aperto, fricchettone e divulgativo. Cercando un segno forte di congedo che rompa l’esorcismo del confort e della tabula rasa, ci si imbatte in una una statua di Cristo alta tre metri in posa trionfante da rockstar. Alle spalle sta l’ennesimo maxi dipinto con un sole sbiadito che illumina senza scottare un finto agro romano dove convivono messi di grano, chicas e pecore. Lontano anni luce dai trappisti che strapparono alla malaria l’abbazia Tre Fontane dove fu decapitato Paolo, morendo a grappoli. Quando si esce a riveder le stelle sul Gra sta per esplodere un tramonto struggente mentre al McDonald’s di Porta di Roma la tastiera bancomat del self service ha i numeri ormai usurati dai mille ordini: se non è a misura d’uomo tutto questo.

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