Oggi ad Hanoi l’80 per cento degli spostamenti si fa in motorino. Ed è diventato un problema

Servizi pubblici pessimi, e tutti in motorino. Roma peggio di Hanoi

Giulia Pompili

La capitale italiana ha avuto un percorso inverso rispetto a quella vietnamita, quando nel giro di pochi anni i mezzi a due ruote hanno invaso le strade

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta le biciclette salvarono il Vietnam. Il velocipede era stato introdotto dai francesi durante il periodo coloniale dell’Indocina, e in una famosa audizione al Senato americano del 1967 il reporter di guerra del New York Times Harrison Salisbury, da poco rientrato da Hanoi, disse: “Penso davvero che senza le biciclette i vietnamiti non sarebbero stati in grado di uscire dalla guerra”. Grazie alle bici i soldati del Vietnam del nord avevano rifornito l’esercito al fronte, e nel Dopoguerra divennero fondamentali per la crescita economica del paese: la bicicletta era facile da usare, economica, resistente. Ancora negli anni Novanta quasi la metà degli spostamenti nella città di Hanoi, la capitale, si faceva pedalando. Ma nel giro di dieci anni, quelli del boom economico vietnamita, l’uso della bicicletta è sceso al 3 per cento. E’ un trend paragonabile a tutte le grandi città asiatiche: quando la classe media cresce economicamente, si sviluppa, le città investono nei servizi di trasporto pubblico e i privati acquistano mezzi di trasporto evoluti. Oggi ad Hanoi l’80 per cento degli spostamenti si fa in motorino. Ed è diventato un problema – di inquinamento, di sicurezza, di praticità. Perfino lì, nella capitale delle rumorosissime due ruote, già da qualche anno esiste un progetto del Comitato municipale per eliminare i ciclomotori all’interno della città entro il 2025 con la costruzione di sei linee di metropolitana e nuove infrastrutture. Perché nel frattempo sempre più vietnamiti possono permettersi un’auto, e allora servono le strade e i parcheggi.

 

In megalopoli come Tokyo e Seul avere quattro ruote è un lusso, e in quanto tale inutile: nella capitale giapponese non puoi acquistare un’auto se non hai un posto auto. E poi: provate a lasciare la macchina un paio di ore al parcheggio multipiano di Gangnam, il quartiere più alla moda della capitale sudcoreana, e la volta successiva vi verrà voglia di prendere un taxi.

 

Roma ha avuto un percorso inverso rispetto a quello vietnamita, quando nel giro di pochi anni i motorini hanno invaso le strade – oggi è seconda soltanto a Mumbai per numero di ciclomotori rispetto ai residenti. E’ il segnale di un’involuzione della qualità della vita: sempre più romani sono costretti a lasciare l’automobile (costosa, impossibile da usare per via di parcheggi inesistenti e traffico sempre più congestionato) ma piuttosto che tentare la sorte usando i mezzi pubblici scelgono di muoversi col motorino, che non ha regole, e quindi è perfetto per questa città. Con l’arrivo delle biciclette sharing, nella capitale meno compatibile con l’uso della bicicletta mai esistita, è finita che Roma al mattino somiglia sempre più a Hanoi: auto incolonnate, sciami di motorini che sfrecciano sui marciapiedi, bici gialle accatastate negli angoli delle strade. Solo che in Vietnam, almeno, hanno un piano di sviluppo.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.