Street wear e sneaker culture. Un mondo giovanile molto americano

Massimo Solani

La scena, nella notte fra venerdì e sabato, non è passata inosservata: 20-30 ragazzi giovani e giovanissimi accampati in fila con tanto di brandine lungo Corso Vittorio Emanuele II per l'apertura di Space 23

Roma. La scena, nella notte fra venerdì e sabato, non è passata certo inosservata con quei 20-30 ragazzi giovani e giovanissimi accampati in fila con tanto di brandine lungo Corso Vittorio Emanuele II. Tutti ad attendere al freddo la mattina per l’apertura dello “Space 23”, il negozio specializzato in abbigliamento sportivo della catena dall’ex campione del mondo Marco Materazzi. In gergo si dice “camp out” e questa volta l’oggetto del desiderio erano le nuove Adidas Yeezy Boost 350 v2 “Beluga 2.0” disegnate dal rapper Kanye West. Un paio di scarpe attese e bramate come fossero il nuovo modello di Iphone o l’ultima PlayStation. Anzi un paio di sneakers, per dirla con appassionati e addetti ai lavori. Come quelli che hanno passato la notte all’addiaccio per riuscire a portarsi a casa scarpe che in negozio, dove erano vendute a 220 euro, sono andate esaurite in un amen e che ora si trovano in vendita soltanto on line a prezzi dai 400 euro in su. Per questo venerdì notte lungo il marciapiede di Corso Vittorio oltre ad appassionati e modaioli c’erano anche molti ragazzi che dello “street wear” stanno cercando di fare un lavoro. Per capire, però, bisogna partire dalle basi. Innanzitutto da che cos’è lo “street wear”, inteso come abbigliamento da strada. Una delle definizioni più diffuse l’ha data Shawn Stussy, ex surfista e creatore dell’omonimo brand. “E’ un lifestyle  multi sfaccettato, figlio di sottoculture diverse, basato su T-shirt e su una sensazione di esclusività”, ha detto provando a spiegare ai profani un fenomeno in cui insieme all’abbigliamento si fondono elementi legati allo skateboard, al surf e allo snowboard, poi l’hip hop, la fotografia e i graffiti fino ad arrivare ai social network, ai blog e al web in generale. Un mondo nato negli Usa che a Roma da poco più di un anno ha iniziato a diventare un movimento vero e proprio e che a settembre si è incontrato e celebrato in occasione del “KickIt Market”, il primo mercato italiano dedicato allo street wear che ha richiamato migliaia di appassionati e espositori da tutta Italia e dall’estero. Si replica l’8 aprile per la seconda edizione organizzata da Fabrizio Efrati, proprietario di “I love Tokyo” uno dei negozi più famosi sulla scena della “sneaker culture” romana.

 

E in fila davanti allo Space23 c’era anche Filippo Marziale, uno delle anime di “Shooters” ossia una delle community più note della Capitale in fatto di sneakers e abbigliamento. Sei ragazzi, quasi tutti studenti universitari, un web magazine aggiornatissimo su tutte le ultime novità del mercato, una bacheca on line per scambi e rivendite (resell, a voler essere precisi) e una nota attività di customizzazione di scarpe. Significa che, scelto un modello dal “cliente”, Filippo e i suoi compagni lavorano per personalizzarlo attraverso pittura, elementi di colore o addirittura una vera “ricostruzione” della scarpa con costi che a volte sono praticamente pari a quelli del prodotto originale. Una novità per Roma, un filone che invece all’estero funziona già se è vero che i grandi marchi come Adidas e Nike stanno provando ad implementare il servizio nei propri negozi on line. “La nostra attività è nata circa un anno fa dalla passione e da passatempo che era ora sta diventando un impegno sempre più importante – spiega Marziale – Ci piacerebbe che un domani potesse diventare un lavoro vero. Noi ci crediamo molto e lavorando attraverso i social e Youtube stiamo crescendo con un buon riscontro di pubblico”. Di recente hanno messo online un video tutorial per spiegare come si personalizza una scarpa mentre molto successo ha avuto la collaborazione con il rapper Drefgold che attraverso le Instagram Stories ha condiviso con i propri fan una customizzazione speciale realizzata dai ragazzi di “Shooters”. Nel frattempo, delle sei paia di Adidas comprate sabato, quattro sono andate letteralmente a ruba sul loro negozio on line a prezzi più o meno doppi rispetto a quello del negozio. Perché quello del “resell” è un settore cruciale legato al mondo dello “street wear”. Pezzi pregiati dei marchi più famosi come Supreme o Palace Skateboard che diventano oggetti di caccia spietata nel mercato di secondo livello dove raggiungono prezzi tutt’altro che popolari e difficilmente alla portata di qualunque ventenne. Ecco allora scarpe che si vendono a più di 400 euro, t-shirt anche da 200 euro, cappelli da 80 euro e giacche che superano i mille. Cifre che apparentemente non sembrano spaventare un mercato di nicchia in costante crescita. Ne sanno qualcosa anche quelli di “Pizza Hype”, uno dei reseller romani più noti assieme a “Streetwear Pharmacy” e “Criminal Hype”. “Ho cominciato a interessarmi di street wear e sneakers quando ho capito che ci si potevano fare soldi - spiegava nei giorni scorsi in una intervista ad un web magazine Alessandro Tanzi, uno dei tre ragazzi di “Pizza Hype” – poi mi sono realmente appassionato”. “Noi copriamo tutto quello che possiamo – aggiungeva Carlo Bartolomucci – e investiamo il massimo per cercare di assicurare un’offerta di qualità nel nostro store”. Abbigliamento da strada con prezzi da haute couture per una cultura che è diventata anche un business.

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