Virginia Raggi (foto LaPresse)

Il pasticcio a 5 stelle sullo stadio della Roma

Marianna Rizzini

Con il progetto si riparte dal via. E nel municipio XIII scoppia il caso del decalogo del “grillino perfetto”

E’ il giorno dopo la disquisizione sul prossimo venturo avvento della “democrazia diretta” a Roma (diretta, ma eterodiretta via Casaleggio Associati). E la notizia irrompe: la Conferenza dei servizi sullo Stadio della Roma si è chiusa con esito negativo. Tra i motivi, la mancata presentazione della variante urbanistica da parte del Campidoglio (variante che a un certo punto la sindaca aveva promesso di far votare) e l’avvio del procedimento di vincolo da parte del Mibact. C’è tempo fino al 16 giugno per le controdeduzioni, ma il pasticcio è fatto: tocca infatti ricominciare da capo, con la nomea di “signora del No” per Raggi: “no” a tutte le opere pubbliche e private, “no” dopo il traccheggiamento attorno al dubbio valido per ogni impresa governativa a Cinque Stelle: sconfessare le promesse utopistiche da campagna elettorale – e agire – o bloccare tutto per tacitare le ubbìe della base ribollente?

 

Sottotraccia, intanto, è ancora nei municipi che si prepara il prossimo fronte. Nel municipio XIII, infatti, la consigliera ex Cinque Stelle (ora Fratelli D’Italia) Isabel Giorgi si è rifiutata di sottoscrivere il regolamento “obbligatorio” del gruppo. Una specie di decalogo del consigliere perfetto. Punto primo di discordia, l’articolo 2, versione municipale del divieto di alleanza parlamentare: “I portavoce del M5s non dovranno associarsi ad altri gruppi politici se non per votazioni su punti condivisi”. E se l’articolo 1 impone di operare “in sintonia” con il programma per Roma Capitale (ovvio) ma anche con il “non Statuto” del M5s e la Carta di Firenze, l’articolo 3 detta il codice morale: “ …in aula i portavoce dovranno tenere un comportamento consono e rispettoso…, se un portavoce turba l’ordine o pronuncia parole o si produce in atteggiamenti sconvenienti, viene ammonito dal capogruppo …o dal presidente di commissione su indicazione di tutti i portavoce presenti”. C’è poi, all’articolo 6, l’impegno categorico di “relazionare” ai cittadini (almeno “un infopoint” al mese) e all’articolo 7 l’obbligo di lavare i panni in famiglia (“…qualsiasi dissidio tra i portavoce deve essere regolato tra i portavoce interessati, supportati da tutto il gruppo…”). E come non smarrirsi lungo il percorso in “8 step” (dalla “discussione” alla “condivisione”) necessario all’approvazione di qualsiasi atto? Si ritorna a monte: sconfessare l’utopia della compartecipazione totale (e immobile) o affrontare l’ira della base che pretende utopistici (e ridicoli) comportamenti?

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.