Una veduta del ghetto ebraico di Roma

Portico di Ottavia

Redazione

La poltrona dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia è contesa da due ebrei americani. E il quartiere ebraico di Roma aspetta con ansia la scelta di Trump

Dalle parti del Portico di Ottavia, nel cuore ebraico di Roma, non si parla d’altro: la poltrona dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia è contesa da due ebrei americani. I nomi sono quelli di Lew Eisenberg e Peter Kalikow, entrambi munifici sostenitori della campagna elettorale di Donald Trump. Kalikow è un vecchio frequentatore del nostro paese, filantropo, appassionato di auto d’epoca e persino insignito tempo fa del titolo di commendatore. Il suo “sfidante”, il finanziere Eisenberg, è un repubblicano di lungo corso, membro della Republican Jewish Coalition e tesoriere del partito.

 

“Non sarebbe male festeggiare la Pesach a Via Veneto”, commenta un anziano negoziante del ghetto quando gli chiediamo di commentare l’ipotesi. Battute a parte, l’occasione è di quelle ghiotte per l’ebraismo italiano e romano. Se dovesse puntare su Eisenberg o su Kalikow (il primo appare leggermente favorito), The Donald riconoscerebbe di fatto all’Italia il ruolo di interlocutore europeo più gradito sul dossier mediorientale. Nel 2017 il nostro Paese presiede il G7 e siede nel Consiglio di Sicurezza ONU, due partite su cui la nuova Amministrazione intende imprimere un deciso cambio di rotta rispetto a Obama, anche in relazione ai rapporti con Israele. Non a caso, il rappresentante di Trump presso lo Stato d’Israele sarà il falco David Friedman, che ha già annunciato la sua intenzione di trasferire l’ambasciata a stelle e strisce da Tel Aviv a Gerusalemme. Tornando alle chiacchiere da ghetto, tra un carciofo alla giudìa e una porzione di stracotto, pare che a convincere gli ebrei repubblicani vicini a Trump (tra cui il suo potente genero) dell’efficacia della “pista italiana” abbia contribuito anche la stima che ha saputo raccogliere nei primi mesi di lavoro l’ambasciatore a Washington Armando Varricchio, già consigliere diplomatico di Renzi a Palazzo Chigi.

 

Altrettanto apprezzato il console generale a New York, Francesco Genuardi. D’altra parte, anche da questa parte dell’Atlantico c’è una nuova generazione di italiani che sta lavorando bene per tenere saldi i legami tra Italia e Israele, come il venture capitalist Jonathan Pacifici, il portavoce italiano del World Jewish Congress Fabio Perugia e la stessa presidente della comunità romana Ruth Dureghello. E c’è soprattutto la sensazione che, chiunque siederà al governo nel 2018, l’Italia sarà comunque meno condizionata da quelle tare ideologiche anti-israeliane che influenzano altri governi europei. Potere del tanto bistrattato volemose bene, dicono.

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