Mirko Stocchetto, che inventò il Negroni sbagliato (e altre miscele di successo) cambiando per sempre Milano

Maurizio Crippa
Imparò l'arte dei cocktail nella Cortina delle Olimpiadi. Rilevò il Bar Basso a metà anni Sessanta e trasformò la filosofia del bere, in una città in cui, anche per i sciùr, l’aperitivo era il Bitter Campari o un vermouth.

L’ingrediente sbagliato su cui in pochi, allora, avrebbero scommesso è l’audacia. Che è un calibrato mix, ma fatto senza jigger, il misurino da cocktail, di rischio imprenditoriale e intuizione del futuro. Nel 1933 il signor Giuseppe Basso aveva aperto un bar, in Porta Vigentina. Nel 1947, dopo la guerra, aveva riaperto in via Plinio 39, affacciato sui viali della circonvallazione che segnavano il confine della nuova edificazione popolare degli Anni 30, sul limitare della città delle fabbriche, la Bianchi delle biciclette, ma anche a due passi dal Politecnico in cui dal Dopoguerra avevano ricominciato a lavorare i cervelli che avrebbero contribuito al boom industriale. Il Bar Basso era un bar di quartiere, senza le ambizioni delle caffetterie del centro, dei pochi locali da aperitivo. Una delle intuizioni di Mirko Stocchetto, quando lo rilevò a metà anni Sessanta (arrivò a Milano con un volo Cortina-Linate e della Aeralpi) fu di lasciare il nome: Bar Basso. Oggi si direbbe un’intuizione da trend-setter. Ma Mirko Stocchetto aveva in mente un’altra cosa. Aveva iniziato a lavorare al Monaco di Venezia, aveva conosciuto Renato Hausammann, grande barman dell’Harris Bar, insieme si erano trasferiti all’Hotel Posta di Cortina negli anni in cui diventava la capitale invernale degli industriali, la Cortina delle Olimpiadi. Fu lì che Mirko introiettò l’arte del cocktail, che è una filosofia del bere ma anche una tipologia internazionale di clientela che ancora a Milano non esisteva, nonché un’arte alchemica tra le più sorprendenti. Così Mirko Stocchetto fu il primo barman di un grande albergo ad aprire un cocktail bar in proprio: in una zona di possibile sviluppo e a vocazione lavoratrice, in una città in cui, anche per i sciùr, l’aperitivo era il Bitter Campari o un vermouth. 

 

La scommessa di riuscire a cambiare il gusto e le abitudini dei milanesi è una di quelle intuizioni che vengono senza nemmeno accorgersene, ma che non erano infrequenti negli anni del boom, per chiunque avesse girato un poco il mondo. Come ha raccontato il figlio Maurizio, ora patròn del locale, la città stava diventando la capitale del design industriale, degli architetti che bazzicavano il Poli. Arrivarono gli stranieri, in città per lavoro. Il rito del cocktail in un bar della Milano “nuova” prese piede. Oggi nella lista del Basso ci sono oltre cinquecento drink tra quelli classici – ufficialmente riconosciuti dall’Aibes, l’Associazione italiana dei barman – e gli altri. Esecuzioni perfette: senza cambiare stile, mobili, o inseguire deleteri aggiornamenti il Bar Basso è tutt’ora uno dei pochi cocktail bar di Milano dove vale la pena prendere ordinare. La fedeltà a uno stile da grande bar internazionale, ma vissuta con understatement, l’interclassismo della clientela, l’alchimia degli spiriti miscelati nei bicchieri affascinarono anche quegli avventori più giovani che ogni tanto facevano capolino, negli anni della Milano da bere, e guardavano con venerazione, di là dal bancone, il mitico barman (“Quello è Mirko, è lui che ha inventato il Negroni sbagliato”). Non ha inventato soltanto lo “sbagliato”, ha inventato o svariato anche altre miscele di successo.

 



 

Ma, ad esempio, con trent’anni d’anticipo sulle aziende di cristalleria, ha inventato l’uso del bicchiere ad hoc per ogni bevanda. Se li faceva (ancora fa) produrre da un’azienda specializzata, su design esclusivo e funzionale. Oggi Milano (e il mondo globale) è pieno di locali che sfoggiano l’attrezzatura ideale per ogni tipo di bevanda e cibo. Gli esperti di marketing del food and beverage sanno che è uno dei punti cardine del successo. Quel che va nel bicchiere, spesso, è un concetto relativo. Non sempre ovviamente. Se Milano sta lentamente salvandosi dalla devastazione dell’aperciena, metastasi ormai decennale del milanesissimo rito dell’aperitivo, è perché l’ennesimo cambio di clientela internazionale ha fatto fiutare agli sviluppatori del settore le possibilità di una nuova generazione di cocktail bar per intenditori, bevitori, o semplicemente gente in fuga dai longue bar. La loro mission nel bicchiere è:  innovare, stupire, sperimentare. Il karma del Bar Basso è attraversare tutte le mode con la noblesse della propria storia.

 

La storia del Negroni sbagliato è arcinota, una leggenda globale. Incerto è solo l’anno, a seconda delle fonti, il 1967 o il 1968. Comunque fu una sera di gran folla nel locale di via Plinio, di ordinazioni che volavano sopra il banco. Un attimo di distrazione, e assieme al Bitter Campari e al Martini rosso, al posto del gin entrò del prosecco. L’esecuzione però era perfetta, il fortunato cliente l’apprezzò. Ora il Negroni sbagliato è nella carta di ogni bar che si rispetti, e anche no, da Milano a Manila. Spesso riescono a farlo male, eppure non è difficile. Da ieri, quando sì è diffusa la notizia che i funerali di Mirko Stocchetto si erano svolti lunedì nella parrocchia di San Giovanni in Laterano, a due passi dal Bar Basso, la notizia dell’inventore del Negroni sbagliato ha fatto il giro del mondo. Aveva 86 anni, in una delle sue ultime interviste, per la rivista Zero.eu, gli avevano chiesto: che sta bevendo? “E’ un Mirketto leggero, base vodka con un po’ di pompelmo. E’ un cocktail che ho inventato per me. Ormai bevo solo questo. Niente più acqua alla mia età”.

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  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"