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Anche i vignaioli hanno le loro colpe nel crollo del vino rosso

Camillo Langone

Il rosso a temperatura ambiente, ossia caldissimo, è imbevibile. Ma non tutti i rossi reggono il freddo. Alcuni pseudograndi dal frigo escono devastati, come quelli prodotti con le lunghe macerazioni che piacciono tanto in Friuli. Udine, città enologicamente la più antiquata, sembra ferma al 1983

A dare la colpa ai consumatori di bevande, come sono solito fare io, ci si sbaglia di rado. Trattandosi di ignoranti e scervellati. Ma a volte la colpa è anche altrui. Il crollo del vino rosso (sì, il vino rosso sta crollando) non dipende solo dai bevitori di spritz. Dipende pure dagli osti, dagli enotecari, dai ristoratori. Che testardi come muli continuano a proporre il rosso a temperatura ambiente. Ossia caldissimo, imbevibile. Tutto il vino compreso il rosso va rinfrescato. Sempre. Purtroppo non tutto il rosso regge il freddo. E qui un po’ di colpa ce l’hanno i vignaioli. Ci sono grandi rossi che il frigorifero lo sopportano, ad esempio il Barbaresco di Gaja. Ma ci sono rossi pseudograndi che dal frigo escono devastati, e penso allo Schioppettino di un produttore friulano seguace delle lunghe macerazioni. Si macerasse il cervello la prossima volta. Le lunghe macerazioni producono fiumi di tannino, mi sembrava di bere una spremuta di foglie di castagno. A Udine, città enologicamente la più antiquata, ferma al 1983, per bere un rosso fresco ho dovuto farmi stappare un Pinot Nero. Vitigno francese, non friulano. Essendo i vini tipici friulani resi imbevibili dai colpevoli vignaioli e vinattieri friulani. Come tanti vignaioli e vinattieri del resto d’Italia, complici del proprio male (il crollo del vino rosso).

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).