Preghiera

"Casa d'altri", la sostenibilità perfetta di una premodernità tremenda

Camillo Langone

Due metri di terra e sassi, un fornello e una povera capra. Il racconto di Silvio D'Arzo mostra la vita nell'Appennino prima della luce elettrica: tutto lo squallore di un mondo perfettamente ecosostenibile

Non l’avevo mai letto perché piaceva molto a Pier Vittorio Tondelli e io con Tondelli avevo un conto aperto. Perché è ambientato nella montagna reggiana degli anni Quaranta, mondo che sapevo piccolissimo e tristissimo. Perché nemmeno la predilezione di Giovanni Lindo Ferretti mi convinceva, ipotizzando una tenerezza di compaesano.

 

E invece finalmente apro il racocnto "Casa d'altri" di Silvio D'Arzo, ripubblicato ora da Marietti 1820, e ne resto ammirato. Per lo stile scabro e colloquiale insieme. E per la descrizione pacata, rassegnata, mai rivendicante, mai politica, di una premodernità tremenda: “Io so bene e sapete anche voi che cos’è una stanza qui da noi, su in montagna: due metri di terra e di sassi, un saccone di foglie di granturco e un catino e un fornello e da un lato la capra”.

 

Dunque c’erano paesi del nord in cui si viveva come nei Sassi di Matera, c’erano addirittura le prefiche (il protagonista è un prete, prima di ogni funerale domanda: “E poi bisogna aspettare le vecchie che piangono? Hanno accettato a trecentocinquanta?”). D’Arzo mostra la vita nei paesi dell’Appennino prima della luce elettrica, dove i poveri mangiavano soltanto pane ed erba: lo si legga per ricordare lo squallore di un mondo perfettamente ecosostenibile.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).