Giovannino Guareschi con tabarro e nebbia,1953 (foto Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali)

Così il Carnevale dimostra il manicheismo del popolo italiano

Camillo Langone

Sono un uomo che anche attraverso l’abbigliamento comunica parecchio però il messaggio arriva sempre distorto

“Ma quella che maschera è?”. A Vicenza, in corso Palladio, un bambino chiede alla mamma chi rappresenta quel signore intabarrato. La maschera sono io, capitato per caso in mezzo a infantili festeggiamenti a base di coriandoli che un po’ mi infastidiscono, misantropo come sono, e un po’ mi illudono: laddove esiste un qualche retaggio del carnevale potrebbe esistere un qualche retaggio del cristianesimo... Poi mi sovviene una frase di Pasolini: “La morte non è nel non potere più comunicare, ma nel non potere più essere compresi”.

 

Sono un uomo che anche attraverso l’abbigliamento comunica parecchio però il messaggio arriva sempre distorto: se i bambini credono che sia una maschera, i vicentini adulti, ho saputo, pensano che sia un cantante lirico (e io odio la lirica) o un folcloristico membro della confraternita del baccalà (e io il baccalà lo mangio senza particolare entusiasmo). Siamo inoltre in campagna elettorale e questo accentua la tradizionale propensione del popolo italiano, o forse di tutti i popoli, al manicheismo.

 

Mai come oggi qualunque tentativo di rompere la logica binaria sembra destinato al fallimento: come si possono spiegare i mille e sottili significati del tabarro a persone che nel 2018 riducono il mondo alla divisione fascisti/antifascisti? Dunque sperimento la morte in vita e le Ceneri a carnevale: polvere ancora non sono ma sono già coriandolo.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).