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ripartono
La Flotilla ci riprova: in tremila pronti a ripartire nella primavera 2026
Prevista una nuova missione con circa 100 imbarcazioni da più di 100 paesi. L'obiettivo? Consegnare beni, medicine e raccogliere un bel po' di attenzione mediatica. Intanto la Svizzera chiama i suoi "flotilleros" a rimborsare i costi dell'assistenza ricevuta
Rispunta la Global Sumud Flotilla, pronta a salpare in primavera 2026 con la sua "più grande missione civile marittima della storia". "Non saremo messi a tacere. Non saremo fermati", è quanto si legge sul sito internet della Flotilla, che nei giorni scorsi ha annunciato i preparativi per una nuova partenza. Questa nuova missione sembra mirare alla stabilizzazione del sistema sanitario gazawo. Rispetto a quella di tre mesi fa, stavolta sono attese più di 100 imbarcazioni con 3.000 attivisti a bordo provenienti da più di 100 paesi. Un'armata Brancaleone, con partenze coordinate da porti mediterranei. L'obiettivo? Consegnare beni, medicine e raccogliere un bel po' di attenzione mediatica. "Questa missione - si legge nel comunicato sul sito - non mira solo a rompere l'assedio e a fornire aiuti umanitari salvavita, ma anche a stabilire una presenza civile sostenuta. Squadre di medici, infermieri, insegnanti, eco-costruttori, protettori civili disarmati e altri sbarcheranno per lavorare al fianco del popolo palestinese mentre continua a resistere ai continui attacchi del regime israeliano e inizia a ricostruire i sistemi sanitari e le infrastrutture di base distrutti negli ultimi due anni". Peccato che il blocco israeliano non sia esattamente noto per accogliere i corrieri con tappeti rossi e selfie.
Per chi si fosse perso gli episodi precedenti, la saga delle flotille per Gaza inizia nel 2010 con la Mavi Marmara, quella nave turca che finì in un bailamme di lacrimogeni, idranti e nove morti. Da allora, tentativi su tentativi: nel 2011 la Freedom Flotilla II si arenò prima di partire, tra sequestri e ripensamenti; nel 2015 un'altra spedizione fu intercettata senza fanfare. Poi l'operazione dell'autunno scorso, con le navi intercettate e respinte dalla marina israeliana.
Se quella volta il governo Meloni aveva inviato due fregate a difesa delle imbarcazioni italiane della Flotilla, paesi come la Svizzera hanno fatto pagare caro il conto ai propri attivisti. L'equivalente elvetico della Farnesina, il dipartimento federale degli Affari esteri (Dfae), ha inviato nelle scorse settimane fatture comprese tra 300 e 1.047 franchi a 20 cittadini che avevano preso parte alla missione umanitaria. La decisione è basata sulla legge federale svizzera in merito alle persone e alle istituzioni svizzere all'estero, che stabilisce un principio fondamentale: se non si rispettano i consigli di viaggio ufficiali si può essere chiamati a rimborsare i costi dell'assistenza ricevuta. In quella occasione, il Dfae aveva infatti sconsigliato la partecipazione dei cittadini al viaggio verso la Striscia.
Rimae da capire se questa volta i flotilleros riusciranno dove i predecessori hanno inciampato. O se finirà con tweet indignati e barche ferme in porto. La storia suggerisce cautela, ma l'ottimismo flotillista è come la gramigna: inarrestabile.
l'editoriale dell'elefantino