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Salario alle cime di rapa

Il Pd in Puglia vara il salario minimo sugli appalti. Ma i portieri della regione prendono molto meno

Gabriele De Campis

I portieri del palazzo del consiglio regionale postano le buste paga: otto euro lordi, uno in meno di quanto previsto dal salario minimo Pd. Dopo le proteste, i dem corrono ai ripari. Ma la burocrazia regionale frena e sostiene di “non avere gli strumenti per intervenire”

La Regione Puglia ha aperto il varco per il riconoscimento per legge del salario minimo come obbligo per i suoi appalti, ma – per ora – oltre la propaganda legata al via libera della Consulta, restano numerosi casi di lavori sottopagati proprio nei suoi palazzi. Il presidente del Consiglio regionale, Loredana Capone, esponente dem e vicepresidente dell’assemblea nazionale del partito, ha salutato con enfasi la legittimità della norma ma i portieri del palazzo dove si legifera sono pagati (ancora) 6,75 euro all’ora. “La legge pugliese sul salario minimo è conforme alla Costituzione: la Corte ha rigettato l’impugnazione del governo”, ha detto la politica leccese che – consapevole delle difficoltà applicative su tutti gli appalti e in particolare in quelli soggetti a proroghe – ha aggiunto una postilla: “Ho chiesto agli uffici del Consiglio di verificare che la norma sia al più presto attuata in tutti i casi previsti”. Sulla stessa linea anche il capogruppo al Senato Francesco Boccia: “Quella pugliese è una legge giusta”. Una curiosità: il salario minimo è stato votato anche dal consigliere regionale Tommaso Scatigna, ex missino di Fdi, che chiede al suo partito di cambiare posizione sui diritti dei lavoratori. Come stanno le cose? I lavoratori delle portinerie del Palazzo del Consiglio, proprio quello della dem Capone, non ci stanno e fotografano la busta paga: “Salario minimo a nove euro? No. La paga è di otto euro, il netto è di 6,75 euro”.

 

La somma dello stipendio mensile è presto fatta: “Riceviamo poco più di 1.200 euro”. Gli stessi portieri fino a qualche anno fa, erano dipendenti di una azienda salentina che conferiva solo 3,80 euro all’ora, per una retribuzione finale da fame. La vicenda racconta bene come il disposto legislativo non incida sugli appalti vigenti o su quelli che sono stati prolungati. Il Pd, dopo le prime proteste dei lavoratori, ha provato a correre ai ripari e con il consigliere regionale Paolicelli ha ricordato che proprio il Consiglio regionale aveva stanziato una somma per gli adeguamenti salariali. La burocrazia regionale, però, frena e sostiene di “non avere gli strumenti per intervenire”, rimandando la palla nel campo della dialettica delle categorie. Così, tra slogan e polemiche, nella città in cui ha insegnato l’insigne giuslavorista Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori, il salario da “minimo” diventa “alle cime di rapa”.