Foto Ansa

politica sindacale

“In questa Cgil non mi riconosco più”. Parla l'ex portavoce Massimo Gibelli

Dario Di Vico

"Vedo un sindacato che mette la politica sopra ogni cosa e fa una corsa in solitario. E vedo anche con grande rammarico come nella confederazione sia assente un dibattito trasparente, eppure ce ne sarebbe bisogno"

Massimo Gibelli è stato portavoce di ben sei segretari generali della Cgil, da Antonio Pizzinato fino a Maurizio Landini, ma proprio quest’ultimo l’ha licenziato in tronco nel 2023 con una prassi non usuale nel sindacato e tipica di un’azienda padronale. Da un giorno all’altro la segreteria generale ha abolito la funzione di portavoce, e Gibelli è stato messo alla porta. Oggi sono passati due anni, ha fatto ricorso e alla fine ha firmato un accordo di conciliazione (o se volete di patteggiamento) con la Cgil. Ora per la prima volta accetta di parlare della sua esperienza e di dove sta andando il sindacato diretto da Landini. Di ricordare quelli che considera i fasti della vecchia Cgil e di denunciare le nebbie di oggi. “Il primo ricorso che mi viene in mente risale al Primo maggio del 2019: Repubblica, giornale punto di riferimento dei progressisti, aprì con una lunga intervista proprio a Landini neo-segretario titolata ‘Un solo sindacato per il lavoro’. Fece discutere. Sono passati da allora sei anni e le divisioni registrate da Cgil-Cisl-Uil in questi giorni certificano quantomeno che l’idea di unità sindacale è tramontata”. E’ vero che in questi sei anni è successo di tutto “ma oggi vedo una Cgil che mette la politica sopra ogni cosa e fa una corsa in solitario. E vedo anche con grande rammarico come nella confederazione sia assente un dibattito trasparente, eppure ce ne sarebbe bisogno. Nessuno si chiede dove stia andando il più grande sindacato italiano”. Sicuramente, viene da rispondere, verso un uso ripetuto e continuato dell’arma dello sciopero generale. “Quella è una forma di lotta estrema e nella storia il sindacato l’ha sempre usata con il contagocce, per molti anni non ne sono stati proclamati. Oggi è una dichiarazione di esistenza in vita, è diventata una richiesta di ascolto ma non c’è relazione tra lo sciopero generale indetto, le rivendicazioni e la possibilità di ottenere quei risultati”. Gibelli ricorda invece come Sergio Cofferati da segretario dei chimici si fosse recato a Ferrara a far cessare l’occupazione del Petrolchimico perché era diventata una lotta “inutile e dannosa”.

   

Ma come si misura in Corso d’Italia la riuscita di uno sciopero generale? La sensazione di molti, ad esempio, è che quello di venerdì scorso sia andato male, non abbia bloccato il paese e non abbia nemmeno svuotato le fabbriche. Invece la Cgil ha comunicato un’adesione al 68 per cento. “Quando c’ero io l’ufficio organizzazione raccoglieva dati a campione e la media che si otteneva faceva parte integrante della valutazione generale con la quale si usciva all’esterno” racconta Gibelli. “Ma si trattava, lo ripeto, di eventi eccezionali e anche nella comunicazione dei risultati c’era la massima attenzione”. E’ stata una doccia fredda essere licenziato dopo aver fatto parte di una comunità, come si è sempre rappresentata la Cgil, per lunghi 40 anni? “Nel ‘21 mi sarei aspettato di essere spostato ad altro incarico come è prassi abituale, francamente non mi aspettavo, due anni dopo, di essere messo alla porta con la motivazione che il ruolo di portavoce era stato soppresso”. Nonostante tutto Gibelli continua a pensare che la Cgil “sia indispensabile” ai lavoratori e alla democrazia, possa ridarsi un progetto vincente ma all’ultimo referendum contro il jobs act non ce l’ha fatta e si è astenuto. “Sono abituato anche a una Cgil che rispetta le forme. Trattavamo con correttezza persino Tatarella quando era vice-presidente del primo governo Berlusconi, figuriamoci se siamo mai passati alle offese”.

 

Dopo l’uscita di Gibelli la Cgil ha riorganizzato la comunicazione affidandola a una società interna (Futura) e un peso importante nei consigli per il segretario lo ricopre Gianni Prandi, a titolo di consulente gratuito. Ma quali differenze trova tra le mosse di Landini – chiunque le ispiri – e i suoi predecessori come Cofferati o Camusso? “Non c’è più l’idea che la Cgil sia progetto, che sia capace di produrre proposte attuabili. Ricordo a tutti che Cofferati ricostruì la struttura contrattuale dopo lo choc dell’abolizione della scala mobile e, seppe contrastare con grande efficacia la riforma delle pensioni del primo governo Berlusconi e l’abolizione dell’articolo 18, conquistò per il sindacato un ruolo decisivo nell’entrata in Europa”. Susanna Camusso, dal canto suo, lanciò il Piano del lavoro e portò la confederazione a elaborare il nuovo Statuto dei lavori che divenne una proposta di legge. “Ricordo a tutti che portò, dopo molti anni, la Cgil e anche la Fiom ad avere rapporti unitari con Cisl e Uil”. Ma Landini, sostengono i suoi difensori, non è un signor No: è stato firmatario del contratto dei metalmeccanici del 2016, quello del Rinnovamento. “Si, c’erano cose anche nuove per i metalmeccanici in quell’accordo ma resta nella memoria come il contratto che diede ai lavoratori pochi euro al mese di aumento. Il giudizio datelo voi”. La successiva riflessione è sull’unità sindacale: oggi la Cgil sembra non sapere che farsene, ha rotto anche con la Uil dopo che per anni le due confederazioni erano andate a braccetto e di fatto finisce per seguire un percorso che la porta a incrociarsi con l’Usb. “La penso diversamente da Landini, per me l’unità è un valore assoluto sia per avere la massa critica necessaria sia per proporre ai lavoratori un unico spartito. La confusione di questi giorni con giudizi diversi sulla finanziaria, manifestazioni separate e contrasti in fabbrica come a Genova non aiuta le lotte”. Poi se si convocano i referendum e li si perde, qualcosa pure si dovrebbe cambiare, magari solo aprire una discussione pubblica trasparente. Che cosa vede Gibelli nel futuro della sua Cgil e cosa immagina per il dopo Landini? “Penso che nel futuro dei sindacati ci debbano essere nuove forme di tutela del lavoro e dei diritti, salari più alti, più potere contrattuale. Se devo essere sincero però vedo una Cgil sempre più sindacato d’opposizione, che somiglia molto alla Cgt francese o simile ai Cobas. Una Cgil che abbandona la centralità del mondo del lavoro per un sociale indistinto e protestatario. Ma così si è destinati alla marginalità come sindacato e all’irrilevanza come partito politico”.

Di più su questi argomenti: