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Il caso di via Anfiteatro a Milano
Tutti archistar in procura?
La Torre Unico Brera non piace ai pm e gip
Nonostante due sentenze (Tar e Consiglio di Stato) a favore, i giudici di Milano ormai costruiscono le inchieste sull'urbanistica in base al (loro) gusto architettonico. Il vero reato? Un modello di sviluppo che non piace ai pm e ai consulenti di Legambiente. Così, come le comari di De Andrè, si prendono "la briga e di certo il gusto”, di dare il consiglio giusto
Un “trucco sulle parole per aggirare le regole”. Può mai dire un gip, sia pure il gip del modello unificato Ghitti ricordato ieri da Ermes Antonucci, può mai dire “trucco sulle parole”? E’ un accademico della Crusca? L’architetto Marco Emilio Maria Cerri ha dovuto spiegare che “a Milano si usa il termine volumetria per indicare la superficie lorda”. Ma secondo il linguista generativo oggi assiso a giudice delle indagini preliminari Cerri “stravolge a suo uso e consumo il significato letterale di un termine della lingua italiana”.
Dice il gip “archistar” Mattia Fiorentini che Cerri userebbe un significato “tutto suo e in voga (non si sa bene perché e con quali basi) presso gli uffici tecnici milanesi”. L’ineffabile Luigi Ferrarella non imputa tra virgolette, al gip, la strabiliante frase qui sopra riportata. Ma confidiamo, visto l’acribia di chi la trascrive, nella sua purezza filologica. Il caso sul filo delle interpretazioni, e poco altro, è quello del bel palazzo di via Anfiteatro sequestrato a Milano in barba a due sentenze del Tar e del Consiglio di stato. Secondo i pm del celebre pool “si tratterebbe di un’operazione di mera speculazione edilizia, la cui unica ragione è la prospettiva della lucrosa rendita che deriva, ai danni del territorio, degli interessi della comunità dei residenti e del rispetto delle regole che li tutelano”. Ora, che ci siano due sentenze che danno torto alla “comunità dei residenti” sarebbe il meno. L’aspetto più avvilente, o tragicamente indicativo dell’epoca, riguarda il come mai dei magistrati, e persino un giudice che si vorrebbe terzo, si prendano la “briga e di certo il gusto”, come le comari di De André, di dare il consiglio giusto, di dire la loro su architettura e urbanistica. Materie che per curriculum ignorano e soprattutto non sono ambiti nella loro disponibilità accademica.
Eppure la strabiliante vicenda affonda la sua logica (diciamo) inquisitoria in questo salto quantico: non si parla di reati, quelli si trovano dopo (persino un mancato certificato anti incendio può bloccare un grattacielo), ma di “idee” sull’urbanistica. Scrive Ferrarella l’ineffabile che per i pm le attività per la Torre Unico Brera “si sarebbero innestate ‘su una invece risalente tendenza’ (dall’inversione dell’onere della prova all’inversione linguistica il passo è breve, ndr) dal 2008 a un ‘ininterrotto processo di dismissioni dei beni pubblici di particolare importanza storico-paesaggistica’ con cui nel centro storico in aree a forte ‘valore commerciale’ si sono dismessi ‘prestigiosi edifici comunali’”. Ma che significa? Quale sarebbe il reato? Di avere operato, le amministrazioni, scelte che non combaciano con le idee dell’architetto Engel, cofirmatario di appelli con Legambiente, o addirittura con il Piano regolatore del 1980, 45 anni fa? E’ forse compito del pool di architetti della procura disquisire delle scelte politiche? O vogliamo processare l’urbanistica dal 2008? Con che competenza?
Ma in ogni caso. La storia evocata dai pm come torbida, e più antica ancora, è un’altra. Negli anni 80, dove oggi sta sorgendo uno splendido palazzo, c’erano delle rovine. Il Comune le espropriò pensando di farne edilizia popolare, in base alla visione di zoning inclusivo che andava di moda. Anche il grande Carletto Tognoli qualche sbaglio lo fece: perché mai fare edilizia popolare in una delle zone del centro già allora più esclusive? Infatti non se ne fece nulla e il comune vendette nel 2008. E fece bene. Persino gli stremiti (si dice in meneghino) residenti, che hanno scoperto solo ora che nelle cantine milanesi ci sono più pantegane che monopattini sui marciapiedi di Beppe Sala, pur lamentando la perdita del sole dicono ai cronisti: “E’ meglio finirlo”.
Resta che, dal rendering pubblicato, chiunque non sia cieco può vedere un palazzo bellissimo che dà persino luminosità a una stradina vecchia e buia. Il progetto dell’architetto Cerri è molto bello, e chi si lamenta dovrebbe solo alzare il naso 50 metri più in là, e vedere i sette piani marron del palazzo all’angolo di corso Garibaldi, che non ha impedito di farne oggi una delle strade più cool di Milano: l’architettura ha sempre migliorato Milano, altrimenti non ci sarebbe la coda ad abitare qui. Sarà il gusto del gip o la sapienza architettonica dei pm a decidere? Fiorentini scrive di una “ripulitura giuridica” fatta allo scopo di perpetrare uno “scempio territoriale” “in violazione anche dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione”. Che c’entra la solidarietà sociale? Un giorno forse gli conferiranno il Pritzker Architecture Prize, nel frattempo restiamo in vigile attesa di una ventata di buon senso (del solito gup) o almeno di un bagno di umiltà degli apprendisti urbanisti di Via Freguglia.