Ansa
L'editoriale del direttore
Il fascismo degli antifascisti è ancora tabù
Una sinagoga imbrattata a Roma, una sede di giornale saccheggiata, una squadra di basket boicottata, un politico silenziato. Perché solo la destra riesce a trovare oggi le parole giuste per condannare l’estremismo pro Pal
L’indifferenza di solito nasce dall’abitudine. L’abitudine di solito nasce dalla sottovalutazione. La sottovalutazione di solito nasce dal disinteresse. Il disinteresse di solito nasce dall’incapacità di considerare un fatto grave all’interno della sua cornice, andando cioè a studiarne il contesto, andando cioè ad analizzarne le radici, andando cioè in definitiva a unire tutti i puntini necessari per mettere a fuoco un disegno. L’indifferenza di cui vale la pena parlare oggi è un’indifferenza speciale che riguarda un fenomeno di cui sono protagonisti da mesi alcuni movimenti che hanno fatto proprio della battaglia contro una grande indifferenza un loro cavallo di battaglia. I movimenti pro Pal, non tutti, parliamo solo di quelli più esagitati, di quelli più violenti, hanno smosso le coscienze negli ultimi anni andando a denunciare con forza l’indifferenza che in alcuni passaggi vi è stata davvero nei confronti della tragedia che è stata Gaza. E i movimenti pro Pal, per molto tempo, hanno utilizzato tutta la propria forza, mediatica e non solo, per cercare di arrivare alla pace, per far tacere le armi e per creare le condizioni per dare finalmente al popolo palestinese lo stato che merita.
I movimenti pro Pal oggi hanno smesso di far notizia per le questioni importanti, per quelle fondamentali, perché una pace, seppur precaria, oggi vi è, in medio oriente, e perché oggi la nascita di uno stato palestinese non dipende più da Israele ma dipende in prima battuta dai terroristi che continuano a tenere in ostaggio il popolo di Gaza e che solo quando decideranno di farsi da parte, come prevede il piano di pace di Donald Trump, firmato anche da Israele e da Hamas, potranno permettere a un popolo martoriato di avere il proprio stato. I movimenti pro Pal, in Italia, hanno dunque smesso di far notizia per i loro obiettivi, perché il raggiungimento dei loro obiettivi nobili non dipende più dalla violenza del proprio nemico, ovvero Israele, e hanno iniziato a far notizia per altro. Nell’ultimo mese, i pro Pal più esagitati hanno manifestato a Bologna contro la partita di basket tra Virtus e Maccabi Tel Aviv. Hanno impedito a un ex parlamentare del Pd di parlare all’Università Ca’ Foscari. Hanno fatto irruzione nella sede della Stampa, saccheggiando una redazione per fortuna vuota. E – è successo due giorni fa – hanno imbrattato una sinagoga a Roma, con le scritte Palestina libera, andando a profanare anche una targa dedicata a un bambino di due anni, Stefano Gaj Taché, che nel 1982 venne ucciso dal terrorismo palestinese, e a cui dieci anni fa dedicò un formidabile ricordo Sergio Mattarella, pochi giorni dopo essere stato eletto per la prima volta come capo dello stato.
L’indifferenza, come si diceva, di solito nasce dall’abitudine, dalla sottovalutazione, dal disinteresse, dal non contestualizzare all’interno della sua cornice un evento grave. E l’impressione che si ricava dallo studio di questi piccoli e grandi eventi è che gli unici a non aver imbarazzo, in Italia, a definire gli atti estremisti dei pro Pal per quello che sono, chiamando le cose con il loro nome, siano coloro che oggi appartengono a una cultura di destra. A destra non si fa fatica a considerare un atto estremista dei pro Pal come un atto figlio di una cultura becera di sinistra, un atto che Marco Pannella avrebbe forse definito come frutto avvelenato del peggiore fascismo degli antifascisti. A destra non si cerca un alibi per scaricare su qualcun altro diverso dai violenti gli atti di violenza messi in campo dai pro Pal estremisti, che grazie al cielo sono una piccola minoranza dei pro Pal.
A destra non si fa fatica a dire che l’antisionismo è un inevitabile veicolo di antisemitismo, non si fa fatica a riconoscere che cantare Palestina, dal fiume al mare significa evocare scenari genocidari, non si fa fatica a riconoscere che un pro Pal che attacca un giornale non è un compagno che sbaglia, non è un sedicente antifascista, e non è un resistente che sbaglia solo perché ha sbagliato giornale, ma è semplicemente un pro Pal che ha scelto di prendere sul serio alcune parole d’ordine trasferite con disinvoltura nel dibattito pubblico degli ultimi mesi: complici del genocidio. A destra non ci sono distinguo quando si parla di antisemitismo, non ci sono distinguo quando si parla di antisionismo, non ci sono tentativi di ridimensionare fatti gravi quando i fatti gravi si presentano di fronte a noi, con la forza delle immagini, degli atti e delle parole. E’ possibile che questo nuovo equilibrio sia figlio di opportunismo cinico, sia figlio di un posizionamento tattico, sia figlio di uno spazio politico che si è semplicemente creato. Ma un fatto è un fatto. E un fatto come tale non può non essere registrato: un evento pro Pal violento ha l’effetto di imbarazzare solo una parte politica. L’indifferenza, lo sappiamo, di solito nasce dall’abitudine, dalla sottovalutazione, dal disinteresse, dal non contestualizzare all’interno della sua cornice un evento grave, e in questo senso non ci poteva essere un filotto più forte di quello osservato negli ultimi mesi per capire che boicottare una squadra di basket, assalire una redazione di un giornale, imbrattare una sinagoga, profanare una targa sono atti che hanno un unico filo conduttore: la trasformazione dell’antisemitismo travestito da antisionismo in una piaga sociale che punta non solo a disumanizzare lo stato di Israele per quello che è, non necessariamente per quello che fa, ma anche a trasformare in bersagli da combattere tutti coloro che possono essere considerati in modo arbitrario e discrezionale complici dello stato ebraico, o, per utilizzare il titolo di un incredibile libro pubblicato dalla casa editrice Ponte alle Grazie, a proposito di sdoganamento di concetti pericolosi, complici della “lobby ebraica”.
Una parte della sinistra, la stessa che in questi mesi ha coccolato la signora Francesca Albanese, riempiendola di cittadinanze onorarie, sorridendo di fronte a ogni suo monito, ha trasformato la lotta contro l’antisionismo e contro l’antisemitismo in un tema di destra. Scegliere di regalare battaglie agli avversari è legittimo. Scegliere di considerare il fascismo dell’antifascismo come un tema che non appartiene ai problemi della sinistra non è solo un errore: è indifferenza, è sottovalutazione, è disinteresse, è un modo come un altro per non voler vedere il famoso “girato” di tutti gli istinti liberticidi promossi in questi mesi da coloro che, in nome della Palestina libera dal fiume al mare, hanno fatto della battaglia contro le indifferenze una battaglia campale e oggi scelgono di non capire chi sono i cattivi maestri che hanno sdoganato con semplicità le stesse parole utilizzate dai pro Pal più esagitati per giustificare la propria vocazione estremista, figlia più di un nuovo antifascismo becero che di un famigerato squadrismo di destra.
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