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l'editoriale del direttore
Lo status quo delle regionali pone domande difficili all'opposizione
Regionali senza sorprese, equilibri politici confermati e buone notizie più per il governo Meloni che per l'opposione
Il punto in fondo è tutto lì: a chi fa male lo status quo? Le ultime regionali dell’anno, lo avete visto, si sono chiuse senza giochi pirotecnici, senza passaggi storici, senza grandi sorprese, esattamente come le precedenti. Ha vinto chi doveva vincere, ha perso chi doveva perdere, ha deluso chi doveva deludere. Se si sceglie di osservare il voto in Campania, in Puglia e in Veneto con un’inquadratura molto stretta, i numeri dicono due a uno per il centrosinistra (Campania e Puglia da una parte, Veneto dall’altra). Se si sceglie di osservare le regionali autunnali nel loro complesso, i numeri dicono tre vittorie per il centrodestra (Veneto, Calabria, Marche) e tre per il centrosinistra (Campania, Puglia, Toscana). Se si sceglie di osservare le regionali da quando Elly Schlein è alla guida del Pd, i numeri dicono altro: dieci vittorie per il centrodestra (alle tre di quest’anno vanno aggiunte anche Basilicata, Abruzzo, Molise, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento) e sei per il centrosinistra (alle tre di quest’anno vanno aggiunte anche Emilia Romagna, Umbria e Sardegna). Tranne due casi, ovvero le elezioni in Sardegna, quelle del 2024, quando il Partito democratico disse, con un filo di imprudenza e di ottimismo, che il vento in Italia era finalmente cambiato, e tranne l’elezione in Umbria, che il centrosinistra ha strappato al centrodestra, si può dire che le elezioni regionali, finora, hanno spesso dimostrato il contrario: il vento non è cambiato ed è sempre lo stesso. L’inquadratura molto stretta darà la possibilità al centrosinistra di avere elementi per cantare vittoria per i due successi in Campania e in Puglia. L’inquadratura molto larga, invece, costringerà il centrosinistra, oltre a riconoscere che il vento non è cambiato, a fare i conti con una realtà difficile da contestare: l’assenza di sorprese, di passaggi storici, di fuochi d’artificio, e la presenza di elezioni regionali che, a meno di due anni dalle elezioni politiche, confermano in questa tornata lo status quo. In sintesi: una buona notizia per chi governa a livello nazionale ma una cattiva notizia per chi sogna di creare un’alternativa a chi oggi governa.
Se vince chi doveva vincere, se perde chi doveva perdere, se delude chi doveva deludere, se in definitiva prevale l’esistente, chi rincorre dovrebbe avere più domande da porsi rispetto a chi è rincorso. E le domande da porsi, poi, dovrebbero essere ulteriori, per chi rincorre, se alla fine delle regionali chi può sostenere di avere avuto di più e di aver perso di meno non è chi dovrebbe guidare la coalizione del centrosinistra, ovvero il Pd.
In Campania, dove il centrosinistra alle ultime elezioni aveva raggiunto il 69 per cento senza essere alleato con il M5s, il Pd non esprime più un suo governatore, ha ceduto il passo a Roberto Fico, regalando così al M5s una seconda regione dopo la Sardegna. Grazie all’alleanza con il Pd, poi, il M5s, in questi mesi, è entrato anche nelle giunte di due regioni in cui il Pd avrebbe potuto vincere anche senza allearsi con il M5s: Emilia Romagna e Toscana.
In Puglia, inoltre, ha vinto un candidato lontano da Elly Schlein, Antonio Decaro. In Toscana ha vinto un altro candidato che Schlein non voleva, ovvero Eugenio Giani. In Emilia Romagna, mesi fa, a essersi imposto è stato Michele De Pascale, distante anni luce dalla segretaria del Pd. Il candidato più vicino a Schlein che ha corso in queste regionali, Matteo Ricci, è stato sconfitto nelle Marche, e la sua candidatura è stata possibile solo dopo una sentenza emessa dal tribunale del grillismo, dopo cioè che Giuseppe Conte ha letto le carte delle sue indagini e ha dato il suo ok alla candidatura.
Nelle regionali dello status quo, dove nessuna coalizione sorprende, dove nessun partito stupisce, a perdere qualcosa, pur vincendo qualcosa, è dunque il Partito democratico, che pur potendo esser fiero di aver rimesso in piedi una coalizione che nel 2022 non c’era, non può non notare che al momento chi guadagna qualcosa, in questi nuovi assetti, è prima di tutto il M5s, e soprattutto Giuseppe Conte. Mentre chi ci perde qualcosa al momento è il Pd, che anche dove vince lo fa perdendo un po’ del suo potere. Le regionali, nello schema del centrosinistra, avrebbero dovuto essere una nuova occasione per assestare una spallata alla maggioranza di governo. Ma come già successo con le europee (giugno 2024) e come già successo con il referendum sul lavoro (giugno 2025) le spallate non hanno prodotto risultati e in alcuni casi si sono persino trasformate in lussazioni.
Il prossimo tentativo per provare a dimostrare che in Italia il vento sta cambiando sarà il prossimo referendum costituzionale, tema su cui però il centrosinistra, viste le lussazioni del passato, si sta muovendo con una certa prudenza. Le regionali, come gran parte delle elezioni degli ultimi anni, non fanno altro che confermare uno status quo difficile da scalfire, che per forza di cose rappresenta una buona notizia per chi governa e una notizia negativa per chi insegue (mai nessuna maggioranza nella storia della Seconda repubblica è arrivata a un anno e mezzo dalle elezioni politiche con un consenso praticamente identico a quello che aveva alle ultime politiche). La presenza di una coalizione, naturalmente, rappresenta una minaccia in più rispetto al passato per il centrodestra, che per questo potrebbe cambiare anche la legge elettorale: il centrodestra, nel 2022, vinse perché conquistò praticamente tutti i collegi, con un centrosinistra unito, e forte al sud, conquistare tutti i collegi sarebbe molto più difficile (a differenza del 2022, il centrosinistra è una coalizione, e può competere, ma un conto è l'algebra, un altro la leadership). Ma la presenza di una coalizione che non rompe lo status quo attuale non può non costringere il centrosinistra a porsi nei prossimi mesi la domanda delle domande: limitarsi a difendere lo status quo è davvero il modo migliore per provare a vincere le prossime elezioni? Se si sceglie di allargare l’inquadratura della telecamera, la risposta forse potrebbe non essere così scontata.