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dalla parte del GARANTE

Non solo Privacy. In difesa delle Autorità indipendenti

Carlo Stagnaro

L’attacco al Garante mette in discussione l’autonomia di istituzioni che andrebbero raffozate. Giuliano Amato lo diceva già nel 1999: "Le autorità sono istituzioni serventi di principi costituzionali sovraordinati allo Stato-governo e allo Stato-amministrazione"
 

E’ davvero un peccato che le polemiche sul Garante della Privacy si concentrino su ciò che dovrebbe essere inaccessibile alla politica – il mandato dei commissari – e non su ciò che invece dovrebbe interessare: il ruolo che questa istituzione occupa nell’economia del paese. L’Autorità per la protezione dei dati personali tutela un valore fondamentale, tuttavia, nella pratica, essa è spesso associata a lungaggini, richieste pretestuose e burocrazia interminabile. Non si contano le lamentele di imprese o pubbliche amministrazioni per le pretese del Garante, che sovente si risolvono in un mero appesantimento procedurale; né si contano le decisioni discutibili compiute dall’attuale consiliatura, a partire dal blocco di ChatGpt.

 

Eppure, tutto questo è assente dal dibattito pubblico. Si parla solo della volontà della politica di lottizzare più di quanto già non accada e sia fisiologico. Con Elly Schlein e Giuseppe Conte a reclamare le dimissioni dei componenti perché, con le loro decisioni, avrebbero favorito la maggioranza, e il partito di Giorgia Meloni che li scavalca (a destra? a sinistra?) accusando l’attuale collegio di essere prevalentemente in quota Campo Largo. E su questo terreno, il Garante fa bene a resistere: in ballo non c’è il mandato dei membri ma il principio stesso dell’indipendenza del regolatore: l’inamovibilità dei commissari ne è un attributo essenziale.


L’indipendenza dei regolatori nasce dalla constatazione che la loro attività ha, da un lato, un forte contenuto tecnico e, dall’altro, esigenze di flessibilità incompatibili con le ordinarie procedure parlamentari. Se ogni decisione dovesse essere preceduta da un dibattito nelle Camere, i tempi si allungherebbero e il processo diventerebbe più disfunzionale di quanto già non sia. Per questo si è escogitato lo strumento della regolazione indipendente: alle autorità vengono delegati ambiti al cui interno sono di fatto sottratte al controllo parlamentare (ma non, logicamente, a quello giurisdizionale). La compatibilità con i meccanismi democratici, come ha sottolineato Franco Bassanini, è garantita dalle procedure di nomina, che spettano a Parlamento e governo e prevedono vari vincoli: non solo sulla qualità dei componenti (che, almeno sulla carta, devono essere esperti del settore) ma anche sulle modalità di nomina che, normalmente, prevedono forme di coinvolgimento dell’opposizione o comunque dei limiti all’accaparramento delle cariche da parte di chi sta in maggioranza.

 

Per esempio, per l’Autorità per l’energia (Arera) è necessaria una super-maggioranza, per l’Antitrust l’accordo tra i presidenti delle Camere, per il governatore della Banca d’Italia il coinvolgimento del Consiglio superiore di Palazzo Koch. A rafforzare la distanza tra i cicli politici e i mandati delle Autorità è la previsione di una durata spesso slegata da quella della legislatura e, talvolta, anche la nomina scaglionata dei commissari. L’irremovibilità impedisce che le Autorità siano di fatto oggetto di spoils system. E questo, almeno sulla carta, dovrebbe indurre a nomine oculate, perché il collegio sopravviverà a chi lo ha indicato. Per questo è sorprendente che il Partito democratico sia il più scatenato nel chiedere la testa del Garante della privacy.


Nessuno di questi meccanismi è perfetto, ma tutti garantiscono un certo grado di condivisione. Sta alla politica interpretare in modo rigoroso il requisito della competenza professionale. Per questo le pressioni sul Garante, che fanno perno su fatti di cronaca ma rispondono a una logica di puro conflitto politico, rischiano di produrre un danno più generale. Il sistema delle Autorità indipendenti, del resto, non se la passa troppo bene da tempo. Nel 2018, il presidente della Consob, Mario Nava, si dimise per le insostenibili pressioni del Movimento 5 stelle all’epoca principale partito di governo. Più recentemente, le procedure per la sostituzione del collegio Arera, scaduto ad agosto, si sono arenate: la consiliatura uscente è stata prorogata al 31 dicembre e da tempo gira la voce di ulteriori allungamenti del mandato, dando la sensazione di un’intensificazione dei propositi lottizzatori. Come hanno denunciato tra gli altri Alberto Clò e G.B. Zorzoli in un editoriale sulla rivista “Energia”, non tutti i nomi che circolano come possibili candidati hanno competenza sui settori regolati, e praticamente tutti hanno una forte affiliazione politica. Di per sé non sarebbe un problema: uno dei componenti Arera uscenti, Stefano Saglia, è stato deputato ma nessuno può dubitare della sua competenza. Altra cosa, però, è avere un collegio composto quasi esclusivamente di ex parlamentari o addirittura parlamentari in carica, alcuni dei quali non hanno praticamente mai sfiorato i temi al centro dell’azione dell’Autorità, cioè energia, acqua e rifiuti. 


In questo senso, la difesa del collegio del Garante della Privacy – che è cosa ben diversa dalla difesa delle sue specifiche decisioni – rappresenta una linea del Piave. L’autonomia dei regolatori è una forma di tutela del processo di mercato stesso, nel medesimo modo in cui lo è la separazione dei poteri più in generale. Come spiegò Giuliano Amato nel 1999, quando aveva da poco terminato il suo mandato di presidente dell’Antitrust, “le autorità sono istituzioni serventi di principi costituzionali sovraordinati allo Stato-governo e allo Stato-amministrazione. Non v’è spazio per indirizzi politici, non si tratta di scegliere tra l’uno e l’altro fine o tra l’uno e l‘altro obiettivo. Si tratta solo di interpretare e applicare una norma o un sistema di norme, che anche lo stato deve rispettare. Perciò lo stato, nelle materie di competenza delle Autorità, non è sovrano; quando sia coinvolto in una questione, non è che una parte”.

 

Minare questo sistema, tirare per la giacchetta i regolatori, spingerli alle dimissioni per sostituirli con figure politicamente più gradite o indicare commissari privi della capacità di decidere consapevolmente su temi cruciali e complessi, non è un dispetto agli avversari politici: è un danno al paese.