(foto Ansa)
il fattore "C"
L'Italia di Meloni è un ponte tra leader incapaci di dialogare. Il posizionamento c'è, la visione no
Il governo italiano è uno dei pochi a poter parlare contemporaneamente con la destra estrema e con la destra moderata. Di fronte a questo posizionamento, l'Italia ha una responsabilità niente male. Serve esprimere una leadership internazionale che ancora non c'è
In politica, lo sappiamo, il famoso fattore “C”, nel senso di congiunzioni astrali positive, o se volete anche in un altro senso, fate voi, è sempre un fattore importante, a volte decisivo, e il governo Meloni, da questo punto di vista, è forse un caso unico nella storia. Soldi a palate dall’Europa, come mai prima d’ora. Un’opposizione debole fino al comico, come mai prima d’ora. Una pace sociale unica, come mai prima d’ora. La presenza di sindacati combattivi ma divisi come mai prima d’ora. E, infine, l’esistenza di un insieme di paesi europei le cui leadership, piuttosto che essere la somma di forze diverse, somigliano, come mai prima d’ora, più a una somma di tante piccole debolezze. Il fattore C, per Meloni, ha permesso in questi anni di far apparire gigante un governo che gigante non è. Ma tra i fattori C meno raccontati, di questi tre anni meloniani, ve n’è un altro, frutto di un combinato disposto che riguarda un tratto interessante della politica estera meloniana. Un combinato disposto che, ovviamente, a proposito di fattore C, è un insieme di meriti del governo e demeriti dei partner europei. Ma un fattore C che ha messo il governo in una posizione rara: riuscire a dialogare con tutti.
Dialogare, nel caso specifico, significa essere interlocutori ascoltati, ricercati e persino rispettati, e pochi governi, in giro per il mondo, si trovano in una condizione simile a quella in cui si trova il governo. L’Italia, oggi, può essere considerata un’interlocutrice da Abu Mazen, come è successo ieri, durante la visita del leader dell’Anp a Roma. Ma pochi paesi europei oggi possono essere considerati interlocutori credibili sia sul lato palestinese sia sul lato israeliano. Stessa storia, in fondo, se si pensa all’Europa, dove la premier italiana è uno dei pochi leader a poter parlare contemporaneamente con la destra estrema e con la destra moderata, con i primi ministri e i capi di stato distanti anni luce dalla destra italiana (Sánchez e Macron) e anche con i loro peggiori rivali (Vox e Le Pen). La stessa storia, in fondo, si ripete nei rapporti con l’America di Trump, e pochi leader in Europa possono essere considerati interlocutori affidabili tanto dai vertici europei quanto da quelli americani. E la stessa storia, se ci si pensa, vale anche per un pezzo di mondo africano. Il Piano Mattei ha suscitato molte ironie ma anche grazie a quella strategia (e alle buone entrature dell’Eni) l’Italia ha rafforzato i suoi rapporti con paesi come Algeria, Egitto, Tunisia, Congo, Mozambico. E il vuoto lasciato dalla Francia nel Sahel, in Niger e Burkina Faso, aree in cui i francesi dominavano e da cui hanno fatto un passo di lato, ha aperto uno spazio che l’Italia può occupare, almeno diplomaticamente. Gli Emirati, il Qatar e l’Arabia Saudita guardano all’Italia come a una nazione pragmatica, senza pregiudizi, e nelle stanze del governo c’è persino chi racconta che alcuni paesi arabi hanno chiesto all’Italia una mano per convincere Trump a non chiedere agli stessi paesi arabi di schierare a Gaza delle forze di interposizione arabe, con la speranza che quel ruolo possa essere svolto dalle nostre Forze armate. Il posizionamento dell’Italia, in questa fase, è più unico che raro.
Ma di fronte a questo posizionamento l’Italia ha di fronte a sé una responsabilità niente male. Usare il rapporto con Trump non come una posa, ma per ottenere risultati positivi per l’Italia e per l’Europa. Usare il rapporto con gli attori del medio oriente non per guardarsi allo specchio, ma per esprimere una visione. Usare il rapporto con i paesi del Golfo, e con quelli africani, non per darsi un tono, ma per esprimere una leadership. Il posizionamento c’è, la visione ancora no. La vera sfida di Meloni, da qui alle prossime elezioni, sarà anche questa. Dimostrare che i ponti servono non per fare i funamboli, per stare in equilibrio, ma per arrivare da qualche parte, per avere un obiettivo, per esprimere una leadership internazionale che al momento, nonostante il fattore C, ancora non c’è.