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L'editoriale dell'Elefantino
La lista Frankenstein De Luca-Fico, o il geniale trasformismo italiano
Che sistema abbiamo inventato. Si può fare tutto e il contrario di tutto, ma solo a patto che si sia angelici o torvi abbastanza da convivere nelle stesse liste. De Luca comunque non si tocca: è una garanzia per la intangibilità della scatola di tonno
Questa di Vincenzo De Luca che elegge Roberto Fico a successore ha una sua grandiosità. Peccato vivere lontano dalla Campania felix, nuovo travolgente episodio del geniale trasformismo italiano, peccato non avere tempo e modo di partecipare ai comizi, ai talk, agli show dell’antidemagogo basso-baritono e del demagogo dalla vocina chioccia. De Luca è la Raggi trattata come una bambolina da antologia delle fiabe, è lo scudiscio dei grillini, è la maestosa resistenza della Prima Repubblica all’assalto degli scassinatori della scatola di tonno, è la negazione irriverente dell’onestà-tà-tà, il difensore accanito del re delle fritture clientelari e elettorali, il rassembleur della meravigliosa feccia e della nobiltà e della miseria in una coalizione della vittoria al settanta per cento, miseria e nobiltà di un Totò redivivo con i pacchi di pasta di Achille Lauro e il buongoverno, la sicurezza, la dinastia familiare, l’odio per i magistrati invadenti, il tutto condito da un campionario di insulti e sberleffi a Fico e ai peggio Fico del bigoncio che fa onore alla sua carriera di amministratore, di comunista, di riformista e di stalinista partenopeo o salernitano.
Non si può non amare De Luca proprio adesso che infilza Fico e lo mette sullo spiedo del suo boom elettorale, eleggendolo e umiliandolo, lui e la sua Schlein, il suo Ruotolo, i suoi migliori e più onesti, tutti a convivere con la delinquenza politica deluchiana, sempre denunciata con toni esagitati e rivelazioni e canagliate da quei bravi ragazzi del Fattacchione. Se continua così, don Vincenzo si compra anche il Fattacchione e il Pd. Aspetto trepido il momento della svolta, e per adesso mi accontento dei comizi imminenti dei fattoidi per Fico e Vicienziuccio loro.
Che sistema geniale abbiamo inventato. Si può fare tutto e il contrario di tutto, ma solo a patto che si dica tutto e il suo contrario, che si sia angelici o torvi abbastanza da convivere nelle stesse liste, ci sarà sempre un genocidio o un antisionismo o un antisemitismo trasversale da far valere come collante. (A proposito, dopo un sonno dogmatico di decenni anche il filosofo e antropologo e storico Gilles Kepel ha capito, e su Repubblica per di più, che l’alleanza del jihad e dell’estrema sinistra è un rischio per la democrazia. Ma va?).
De Luca comunque non si tocca. Una garanzia, per sé e per la intangibilità della scatola di tonno. Un superamministratore che ha trasformato Salerno in un sobborgo di Salisburgo, ha ingaggiato i mejo architetti per rifare mare e lungomare, ha ripulito le stalle e le strade, promette altri miracoli con l’ausilio dell’uomo di Giuseppi, con cui diventeranno amici cari, anzi carissimi. Questo caso di trasformismo impazzito, vertiginoso, è un tanto di allegria nella lugubre armocromia della sinistra campana. De Luca resta un santino e un santo, almeno per me che apprezzo da sempre la sua sfacciataggine, il suo imperterrito politicismo che poi è la metà almeno di una buona e cattiva politica, l’unica che si conosca in natura. Fico si farà un giro in autobus, la sua specialità del primo giorno, e porterà la sua vocetta un po’ castrata sui palchi approntati dal Boris Karloff di Salerno e Napoli, l’autore vero della famigerata e immensa lista Frankenstein.