Ritratto di un plenipotenziario

Il Saggio di Meloni. Ecco chi è il consigliere diplomatico dalla cui scrivania passano tutti i dossier

Marianna Rizzini

Gaza, Trump, Piano Mattei, passa tutto per Fabrizio Saggio. Napoletano, studi a Roma con parentesi in Lussemburgo, pescatore subacqueo, moglie italiana trovata a Bruxelles. Già ambasciatore a Tunisi, già agli Affari diplomatici del Colle, con esperienza al Cairo e a Washington, ma estraneo al giro meloniano d’Antan

Intuito e sangue freddo, buonsenso e velocità di reazione: se ti mancano, non puoi immergerti per metri e metri nel blu profondo degli abissi, e sarà forse per questo che Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico della premier Giorgia Meloni, ambasciatore per formazione e pescatore subacqueo per diletto, viene descritto qui e là, lungo l’arco parlamentare, dicono unanimi due deputati di opposte casacche, tra Fratelli d’Italia e Pd, come “l’uomo più calmo” dell’intero entourage governativo, sintonizzato sia con Meloni sia con il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Calmo, quindi. Non vuol dire fermo. Lo hanno infatti visto arrivare molte volte, Fabrizio Saggio.
 

La prima da Tunisi, dov’era ambasciatore, quando è tornato a Roma, in un giorno d’autunno del 2023; l’ultima qualche giorno fa, quando, dopo vari viaggi oltreoceano e oltralpe, è atterrato da Sharm el-Sheik alla testa della delegazione con cui la premier Giorgia Meloni ha preso parte all’incontro finale che ha sancito l’accordo per la fine della guerra a Gaza. Lo hanno visto anche partire, Saggio, e molto spesso, per i paesi di questo e quell’altro continente, nella veste suddetta di consigliere diplomatico che – a 54 anni, e a due di distanza dall’avvicendamento con Francesco Maria Talò, ex consigliere dimessosi in coda al caso dei comici russi che hanno recapitato una telefonata fake a Palazzo Chigi – è non soltanto una feluca d’esperienza tra Bruxelles, Il Cairo, Washington e il Quirinale (dov’è stato tra il 2015 e il 2022, nell’ufficio Affari Diplomatici del Colle), con cinque anni alla Farnesina, tra il 2008 e il 2013, nel gabinetto di tre ministri (Franco Frattini, Giulio Terzi di Sant’Agata ed Emma Bonino).
 

Almeno altri due incarichi, infatti, riempiono l’agenda di Saggio, anche coordinatore della struttura di missione per il piano Mattei (vedi alla voce Africa) e, ultimo ma non ultimo, sherpa per il G7 e per il G20. Come dire: tutti i dossier, a cominciare da quello dei rapporti con Donald Trump fino a quello dei rapporti con il presidente del Paraguay Santiago Peña Palacios (qualche giorno fa in visita a Roma) e con i suoi omologhi nei due emisferi, passano dalla scrivania del consigliere, in forma cartacea o “smaterializzata”, come dice l’esponente di maggioranza che un giorno ha visto Meloni, alla vigilia di un importante vertice internazionale, “spedire alla velocità della luce una raffica di venti, trenta domande a Saggio”, per ricevere, dice il testimone oculare, almeno altrettante risposte in tempo reale.
 

E insomma, vedendolo andare e tornare in tutti i viaggi in cui Meloni ha mostrato il suo profilo internazionale, dando un supporto costante, e vedendolo, a Roma, da mattina a sera concentrato su questioni di peso o di routine, dalla guerra in Ucraina all’incontro bilaterale con il più piccolo e tranquillo paese sul mappamondo, c’è chi, nei Palazzi, ha cominciato a vedere in Saggio una specie di Mister Wolf - risolvo problemi: lo chiami e aiuta, senza grancassa, a cercare la chiave di lettura, racconta chi l’ha conosciuto da giovane, all’inizio dell’ingresso in diplomazia, alla Rappresentanza permanente presso l’Unione europea, nella Bruxelles dove Saggio era arrivato quasi trentenne e dove ha conosciuto la donna italiana che poi lo avrebbe seguito fino al Cairo, il luogo dove sarebbero nati i suoi due figli, non prima, però, di aver ricoperto un incarico di gavetta diplomatica a Roma, città d’adozione della sua famiglia. Una famiglia napoletana con la passione per la legge in tutte le sue applicazioni, dal tribunale al diritto internazionale, materia di laurea, per Saggio, a monte del servizio militare fatto già da laureato, e prima del concorso diplomatico, terrore di ogni aspirante ambasciatore, poi magari diventato docente, avvocato o anche, non di rado, giornalista.Lui, Saggio, dopo il passaggio di quelle colonne d’Ercole d’esame, si era recato in Belgio, ma si narra non fosse nuovo alla vita poco napoletana già sperimentata oltreconfine, da ragazzino, causa lavoro paterno, nell’aria serena e forse straniante del Lussemburgo, il paese dove qualsiasi madre può lasciare un bimbo libero di scorrazzare nel parco senza temere bruti, traffico, siringhe e carovane di turisti indisciplinati.
 

Sia come sia, visto dall’oggi, Saggio è l’uomo che arriva in audizione in Parlamento a parlare di Piano Mattei, come nel luglio scorso, e quindi di energia, migrazioni e potenzialità di sviluppo nel sud del mondo, e produce tra gli astanti commenti che si dividono in modo trasversale, tra maggioranza e opposizione, più o meno lungo due direttrici: c’è chi, in entrambi i lati dello schieramento, lo applaude e lo vede già “ambasciatore negli Stati Uniti” e chi, sentendolo parlare di prospettive del continente africano dal Mediterraneo a Città del Capo, passando per Tanzania e Mozambico, invita il governo Meloni a ridimensionare le aspirazioni: “Non è che in Africa, prima di questo governo, non ci fosse la luce elettrica”, riassume oggi un parlamentare, contraddetto però da un collega cui molto era piaciuta la parte del discorso di Saggio in cui Saggio illustrava gli addentellati finanziari del progetto.
 

Ed ecco che, a ritroso, nelle cronache, le parole di Saggio spiegano, tra le altre cose, il “Mattei Plan-Rome Process Financial Facility”, un fondo speciale multilaterale “istituito presso la Banca Africana di Sviluppo che permette oggi di sostenere i progetti nell’ambito del piano Mattei ma anche del processo di Roma”, diceva il consigliere, parlando di “un nuovo strumento, attivato in una logica di sistema con il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e il Fondo Clima, caratterizzato da un importante effetto leva dato dall’impegno della Banca Africana di Sviluppo a contribuire in misura speculare a ciascun progetto: a un euro impegnato dal governo italiano su un progetto condiviso corrisponde un euro della Banca Africana di Sviluppo. Il fondo è già operativo e ha, tra l’altro, attirato l’interesse di altri paesi, a partire dagli Emirati Arabi Uniti che vi hanno contribuito con un finanziamento di 25 milioni che serviranno ad avviare due progetti concreti in Costa d’Avorio in ambito agricolo (per rafforzare l’autosufficienza alimentare del paese) e in Etiopia, per il rafforzamento della filiera del caffè”. Tecnico-diplomatico nel cerchio ristretto di Meloni, a contatto con tutte le segreterie di Stato e con le cancellerie in un momento di estrema tensione sullo scenario internazionale, Saggio non è nuovo al tema migrazioni: era infatti ambasciatore a Tunisi quando l’Italia e la Tunisia hanno stipulato l’accordo di cooperazione per gestire l’immigrazione irregolare, con focus sul contrasto al traffico di esseri umani, sulla prevenzione delle partenze e sul supporto alle autorità tunisine, con la promozione di percorsi di mobilità legale.
 

E pare che, proprio in virtù del comune lavoro a Tunisi, la premier abbia poi scelto Saggio come consigliere, dopo le dimissioni di Talò. Se esiste oggi una “dottrina Saggio” informale sull’Africa, insomma, questa esisteva già ai tempi di Tunisi. Detta con le parole del consigliere diplomatico in audizione parlamentare, suona più o meno così: il piano Mattei, ha detto quel giorno di luglio Saggio, non deve essere “una semplice sommatoria di progetti, di finanziamenti, ma qualcosa di molto più ambizioso: una vera e propria strategia nazionale che consenta di imprimere un reale cambio di paradigma nei rapporti con il continente africano. Un continente dall’enorme potenzialità. I numeri, lo dico spesso, parlano molto più delle parole: l’Africa come sapete possiede il 60 per cento delle terre non coltivabili, oltre il 30 per cento delle riserve minerarie mondiali, senza contare il dato demografico. Oggi l’età media in Africa è di diciannove anni. Entro cinque anni il 40 per cento della popolazione giovanile sarà in Africa. Entro il 2050 un abitante su quattro sarà in Africa. E’ proprio avendo a mente questi dati, la centralità dell’Africa e la volontà di mantenere alta l’attenzione verso questo continente che la struttura di Missione ha continuato ad agire…”. Agire nel quadro europeo, ma partendo “dalle richieste avanzate dai partner africani”, diceva Saggio, “in costante collaborazione con la Farnesina, con la rete diplomatica, con la cooperazione allo Sviluppo e con l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, l’AICS, in una logica di totale allineamento del Sistema Italia”.
 

Chi ha visto Saggio all’opera, dice un ex alto funzionario, lo definisce “un diplomatico di nuova generazione, attento allo sviluppo di analisi politico diplomatiche, non chiuso al dialogo, non nella sua turris eburnea – uno di grande affidabilità istituzionale, ma anche uno che può parlare disintermediando. D’altronde ha affinato queste doti negli anni al Quirinale, dove bisogna tenere, per così dire, le antenne dritte e la bocca chiusa”. Nuova generazione, cioè quella degli ambasciatori oggi cinquantenni, persone entrate in diplomazia mentre il mondo si muoveva a cavallo della sparizione dei due blocchi originari, quindi non in prima linea nell’assetto della Guerra Fredda. Saggio però ha conosciuto in prima linea il quadro mediorientale nel post 11 settembre, in quell’estate del 2005 in cui, da poco nominato console in Egitto, si è ritrovato nella stessa Sharm el Sheikh che oggi ha fatto da teatro alla firma dell’accordo per Gaza, ma nel ruolo di chi deve accogliere i parenti delle vittime di un triplice attentato. I telegiornali del 26 luglio 2005, infatti, lo vedono parlare dell’apocalisse successiva alla notte del 23, notte in cui un kamikaze e due attentatori avevano sferrato il loro attacco mentre i turisti erano in giro tra bazar, ristoranti e bar, nel Mercato vecchio, o nella hall del frequentatissimo hotel Ghazala Garden, davanti alla spiaggia, o alla fermata dei taxi. Giorni di strazio, con i parenti che identificavano le vittime e i feriti da curare nella confusione di un ospedale locale.
 

L’allora console Saggio aveva detto poche parole davanti ai microfoni delle tv, dando soltanto informazioni essenziali sul numero di vittime italiane, ma sono gli articoli di giornale dell’epoca a parlare indirettamente delle implicazioni di quel primo impiego importante in quel momento, tra timore di altri attentati, gestione quotidiana del caos, rapporti con le autorità egiziane. Non per questo, però, l’incarico di console con base al Cairo gli era sgradito, anzi: un amico dice che Saggio ha contratto una sorte di “mal d’Egitto” per la capitale, città dove, come si è detto, sono nati i suoi figli – che però poi, contrariamente a quanto vuole la tradizione diplomatica, per la quale i figli degli ambasciatori seguono un cursus di formazione tutto internazionale, hanno studiato per lungo tempo in Italia come il padre, ex studente del liceo romano Lucrezio Caro e dell’Università La Sapienza.
 

Tuttavia, anche se Saggio è molto ascoltato da Meloni, non dall’universo meloniano pre Palazzo Chigi e post Colle Oppio  proviene (ma neanche dal giro opposto). E anche se, oggi, il libro di Meloni viene recensito da Donald Trump sui social, e anche se la premier è considerata dal presidente Usa una delle “grandi leader del mondo”, il lavoro sul rapporto con gli Usa fatto sottotraccia da Saggio sembra poggiare più sull’arte della moral suasion che su frasi a effetto, lungo la linea che vorrebbe un’Italia pontiera tra Europa e America, sui due lati dell’Oceano, laddove magari può tornare utile la sottile sapienza subacquea, tra apnea, inabissamento ed emersione.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.