Ansa

L'editoriale del direttore

Non banalizzare, minimizzare, criminalizzare. Cosa vuol dire combattere la violenza in Italia, con numeri inediti

Claudio Cerasa

Dal boom di manifestazioni “per la pace” alle offese antiebraiche, l’Italia si scopre meno violenta del resto d’Europa ma con un trend preoccupante (che spaventa anche Haaretz). I dati del Viminale mostrano un paradosso: meno cortei, ma più feriti tra le forze dell’ordine e più casi di antisemitismo. I numeri di Piantedosi

Le parole d’ordine, in fondo, sono sempre quelle: non banalizzare, non minimizzare, non criminalizzare. Vale quando si parla di violenza verbale, vale quando si parla di violenza di piazza, vale quando si parla di violenza antisemita. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ieri alla Camera, nel corso del question time, ha offerto alcuni numeri importanti relativi a quello che è lo stato della sicurezza in Italia. Il nostro paese, rispetto ad altri in Europa, resta tutto sommato un’isola felice, un’isola pacifica, un’isola di non violenza, ma i segnali messi insieme con sobrietà dal ministro dell’Interno sono lì a indicare le ragioni per cui le forze politiche, gli osservatori, gli intellettuali e gli attivisti dovrebbero evitare di ridimensionare alcune statistiche che fotografano un problema grave che gira attorno a quella parola: antisemitismo.

 

Piantedosi ha riportato alcuni dati, offerti dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, che opera presso il ministero dell’Interno, e quei dati dicono quanto segue: dal 7 ottobre 2023 a oggi, in Italia sono state registrate 733 segnalazioni per atti di antisemitismo, di cui 140 a Roma e 86 a Milano, con un forte incremento rispetto al periodo pre conflitto. In Francia, nello stesso periodo, gli episodi sono stati circa 1.600, dunque di più. E di più sono stati anche in Germania (8.600), nel Regno Unito (4.103). I dati di Piantedosi – dati preoccupanti ma che segnalano ancora una distanza notevole dai guai che ha sul tema mezza Europa – sono lì a indicare un problema che il ministro non esplicita ma che è di fronte ai nostri occhi: ogni volta che la politica banalizza un episodio di antisemitismo, considerando gli estremisti solo come delle mele marce, e ogni volta che la politica si sente in dovere di parlare di antisemitismo aggiungendo un ma, sentendosi in dovere cioè, per paura di dover fare i conti con le bimbe di Albanese, di dover ricordare che l’antisemitismo va condannato, sì, ma non va dimenticata la tragedia di Gaza, quasi a voler ricordare cioè che l’antisemitismo è colpa di Israele, ogni volta che succede tutto questo si minimizza e si fa un passetto per criminalizzare il popolo ebraico trasformando ogni ebreo in un possibile bersaglio di un odio assoluto.

 

Indignarsi non basta, vigilare è importante, usare le parole giuste per non cadere nell’ambiguità, from the river to the sea, dovrebbe essere non un’opzione ma un dovere morale. Un secondo dato importante suggerito ieri da Piantedosi che merita di essere riportato è legato a un elemento che oggi sfuggirà a molti: le conseguenze della violenza delle piazze. Le piazze violente, ormai ci siamo abituati, fanno notizia solo se gli autori della violenza sono le forze dell’ordine, fatto per fortuna molto raro. Quando però la violenza si inverte, quando a pagare le spese della violenza sono le forze dell’ordine, le notizie su questa violenza spesso non trovano lo spazio giusto sulle pagine dei giornali. Piantedosi, nella sua relazione, ieri ha genericamente ricordato un dato. Ha ricordato che dal 7 ottobre si sono tenute 8.674 manifestazioni di rilievo, e in 242 casi sono state registrate criticità per l’ordine pubblico, con 330 feriti tra le forze dell’ordine, di cui 242 durante le manifestazioni a carattere pacifista.

 

Le manifestazioni pacifiste sono quelle che presentano dunque una maggiore vulnerabilità rispetto alle altre. Ma questo dato non spiega tutto. E per capire meglio di cosa stiamo parlando occorre andare alla fonte e occorre andare a spulciare alcuni dati non pubblici che riguardano la sicurezza in Italia. I dati sono questi. Tra il primo gennaio 2025 e il 5 ottobre 2025, il numero di manifestazioni di piazza che si sono tenute in Italia, nonostante tutto, è calato del dieci per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno prima (9.632 nel 2024, 8.635 nel 2025). Il calo principale delle manifestazioni ha riguardato quelle a carattere sindacale a sostegno dell’occupazione (il lavoro c’è, cresce, e le proteste di piazza su questo fronte sono calate del 32,4 per cento, ragion per cui la Cgil si è buttata sul pacifismo). Mentre a essere aumentate (del 50,3 per cento) sono state nel 2025 le manifestazioni a sostegno della pace. E in tutte le manifestazioni che si sono tenute nel 2025, gli episodi di criticità sono passati da 286 casi nel 2024 a 240 casi nel 2025. Dunque, si manifesta di meno, in generale, e con meno episodi di criticità. L’Italia resta anche da questo punto di vista un’isola felice, antisemitismo in aumento ma meno che in altri paesi, manifestazioni di protesta in calo, episodi di criticità in calo. Ma il dato importante da considerare è quello che riguarda i feriti tra le forze dell’ordine, che nonostante il calo delle manifestazioni, gli episodi di criticità sono aumentati del 52,6 per cento, con un numero di feriti tra le forze dell’ordine passato da 213 casi nel 2024 a 325 casi nel 2025.

 

Nessuno di questi dati probabilmente conquisterà le prime pagine dei giornali. Ma forse uno sforzo andrebbe fatto anche per evitare che la difesa delle forze dell’ordine e la lotta all’antisemitismo siano sempre di più un tema considerato per così dire di parte. Un tema, per così dire, di destra. Ieri su Haaretz, un giornale che odia Netanyahu, in un articolo che trovate pubblicato oggi sul Foglio, Sefy Hendler ha lanciato un allarme sull’Italia, ha descritto il nostro paese come in ebollizione, ha dato conto dei milioni in piazza contro la guerra a Gaza, ma ha notato come i toni della piazza abbiano offerto un quadro preoccupante del nostro paese, con uno sdoganamento di fatto dell’immagine di Israele come capro espiatorio del mondo. Dietro lo slogan “Bloccheremo tutto”, scrive Hendler, si mescolano idealismo e antisemitismo latente: chi critica Israele è applaudito, chi chiede la liberazione degli ostaggi viene isolato. Un paradosso antico, in una nazione che ha amato e tradito gli ebrei. Non banalizzare, non minimizzare, non criminalizzare.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.