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L'opposizione

Le quattro spallate (andate a vuoto) del campo largo al governo

Luciano Capone

Il centrosinistra sognava un 5-1, si accontenterà di un 3-3. Pd e M5s litigano sui meriti mentre il governo Meloni resta solido, con consensi persino superiori a quelli del 2022. Dopo Sardegna, europee e referendum, anche le regionali confermano la stessa fotografia: l’opposizione non arretra, ma nemmeno avanza

Solo poche settimane fa, il centrosinistra pensava realmente di poter vincere queste elezioni regionali con un sonoro 5-1, strappando al centrodestra le Marche e la Calabria (il Veneto no, è impossibile). Ora, se tutto andrà bene, finirà 3-3: il “campo largo” dovrà riuscire a mantenere le regioni che già governa (Toscana, Campania e Puglia) e che il Pd aveva vinto senza il M5s. 


In questo contesto, all’interno della coalizione, al Pd va peggio che al M5s: il partito di Giuseppe Conte, che pure ha avuto scarsi risultati, grazie all’alleanza dovrebbe conquistare la presidenza di una regione governata dal Pd (Campania), entrare in giunta dove non c’era (Toscana) e strappare  più consiglieri grazie all’alleanza. Il Pd, al contrario, se tutto va bene, si ritroverà con un governatore in meno in una regione che in passato ha conquistato  agevolmente senza e contro i pentastellati (nel 2020 Vincenzo De Luca vinse con il 70 per cento). Conte prende sempre meno voti, ma nel negoziato con Elly Schlein li fa pesare sempre di più. 


I problemi interni alla coalizione, però, sono poca cosa rispetto  al segnale politico generale: il campo largo ha fallito la quarta spallata contro il governo. Le sconfitte nelle Marche e in Calabria, con un distacco rispettivamente di 8 e 16 punti, ben superiore alle aspettative, sta alimentando a sinistra quello che Pier Luigi Bersani chiama “sconfittismo”. Questo stato d’animo potrebbe presto lasciare spazio al “trionfalismo” dopo il voto in Toscana, Campania e Puglia, dove il centrodestra non è per nulla competitivo e a livello locale raccoglie molti meno consensi rispetto alle elezioni politiche ed europee. Sconfittismo e trionfalismo sono due errori di prospettiva, amplificati dal fatto che spesso nelle elezioni regionali giocano un ruolo fattori locali (candidati forti o partiti poco organizzati sul territorio) che non si manifestano nelle elezioni politiche.   Insomma, l’opposizione non sta sparendo dopo la disfatta nelle Marche e in Calabria, né sarà lanciata verso la vittoria dopo i probabili successi in Toscana, Campania e Puglia.


 Ma è proprio questa stasi il segnale politico più rilevante. Ciò che queste elezioni regionali diranno è che l’opposizione ha fallito la quarta spallata contro il governo Meloni. Se escludiamo le regionali del 2023, dove il centrodestra ha vinto agevolmente sulle ali del trionfo alle politiche di fine 2022, il centrosinistra ha tentato di dare un primo scossone con le regionali del 2024: la vittoria in Sardegna e l’“effetto Todde”, portata in giro come nuovo modello nazionale, dovevano segnalare che “il vento è cambiato”. Poche settimane dopo sono arrivate le sconfitte in Abruzzo e Basilicata e nessuno si ricorda più della Todde. 


Il centrosinistra ci ha riprovato pochi mesi dopo, con le elezioni europee del 2024, ma le ha vinte il centrodestra. Il Pd con il 24 per cento ha ottenuto un ottimo risultato, ma il M5s è crollato al 10 per cento; mentre FdI ha aumentato notevolmente i consensi confermandosi prima forza politica del paese e FI e Lega hanno tenuto. Tirando le somme del voto europeo, un terreno teoricamente più favorevole per i progressisti, il centrodestra ha aumentato i consensi rispetto alle politiche del 2022, mentre il “campo largo” ha mantenuto la stessa quota di voti che avevano ricevuto Pd e M5s separati. Seconda spallata a vuoto.

La terza è stata tentata pochi mesi fa, a giugno 2025, con il referendum contro il Jobs act indetto dalla Cgil. Il partito di Schlein l’aveva presentato come un “avviso di sfratto” per Giorgia Meloni e  Maurizio Landini invocava la “rivolta sociale” contro il governo: è stato un fallimento, con un’affluenza del 30 per cento molto lontana dal quorum. Il Pd non ha riflettuto  su quella sconfitta, anzi ha detto che tutto sommato è stato un successo perché secondo il Quorum Boccia – una soglia inventata dal capogruppo al Senato del Pd – si erano recati alle urne più persone di quante avevano votato il centrodestra nel 2022. Elly Schlein non ha convocato neppure una direzione nazionale per analizzare l’esito del referendum sul lavoro, probabilmente perché non c’era tempo: bisognava prepararsi per la quarta spallata, quella delle regionali.  Fallita anche questa.

Ed è questo il dato politico più significativo. In passato, i cambi di governo, sono stati spesso anticipati da pesanti sconfitte dei premier in carica nelle elezioni regionali: si pensi alle regionali del 2000, che portarono alle dimissioni di D’Alema, o alle regionali del 2005 con il 12 a 2 del centrosinistra sul centrodestra di Berlusconi. Più recentemente, le ripetute vittorie del centrodestra in varie regioni hanno preannunciato la vittoria di Meloni nel 2022. Ora da qui alle elezioni politiche del 2027 il “campo largo” non ha altre buone occasioni per conquistare posizioni: l’ultima spallata sarà possibile solo con il referendum sulla riforma della giustizia. Ma nel frattempo il dato politico più significativo è che dopo tre anni i consensi dei partiti di governo non diminuiscono. Anzi, sono superiori di qualche punto rispetto alle ultime elezioni politiche. Finora non era mai accaduto nella storia trentennale  della Seconda Repubblica.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali