
Foto ANSA
tra medicina e complottismo
Il forfait di Schillaci a Rimini e i pericoli dell'esporre la salute pubblica alla convenienza politica
La mancata presenza fisica del ministro al Meeting assomiglia a una strategia di basso profilo, per evitare nuove polemiche pubbliche e sottrarsi (almeno per ora) alla linea del fuoco dopo il caso della commissione vaccini. Ma è anche un'occasione persa
E’ un’immagine simbolica quella che arriva oggi dal Meeting di Rimini: il ministro della Salute Orazio Schillaci, atteso al convegno “La salute, un bene per tutti”, non si presenta di persona. Al suo posto, un videomessaggio. Il Ministero fa sapere che l’intervento da remoto era previsto da tempo, ma il contesto – e soprattutto il tempismo – lo carica di significati politici tutt’altro che secondari. E’ difficile infatti non collegare questa assenza alla vicenda che da settimane tiene banco nel mondo della sanità e oltre: la nomina e il successivo scioglimento del Nitag, il gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni. Un caso che ha travolto il Ministero, generato reazioni durissime da parte della comunità scientifica, spaccato la maggioranza di governo e lasciato strascichi ancora ben lontani dall’essere sanati. Il motivo? La decisione del ministro di includere nel comitato due figure – Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite – note per posizioni controverse sui vaccini, scatenando un’ondata di proteste che ha portato, pochi giorni dopo, all’annullamento dell’intero Nitag. Annullamento che, se da un lato ha tentato di porre fine all’imbarazzo istituzionale, dall’altro ha innescato frizioni politiche ancora più forti.
Non sono mancate le bordate dai leader della maggioranza: Salvini ha parlato di “pessimo segnale scientifico e culturale”, mentre Lollobrigida ha invocato un pluralismo che dovrebbe includere anche “idee alternative” alla scienza ufficiale. Affermazioni che rivelano una crescente tensione tra l’esigenza di legittimare ogni voce e la necessità, inderogabile, di difendere la base scientifica della sanità pubblica. In questo clima la mancata presenza fisica di Schillaci a Rimini sembra riflettere più di una semplice agenda fitta di impegni: assomiglia piuttosto a una strategia di basso profilo, mirata a evitare nuove polemiche pubbliche e sottrarsi, almeno per ora, alla linea del fuoco. Una scelta comprensibile sul piano personale, ma che rischia di essere letta come un arretramento istituzionale, proprio nel momento in cui sarebbe più utile una presa di posizione chiara, netta, coraggiosa. Ma il futuro del ministro resta, per ora, sospeso su un filo. All’interno della maggioranza, infatti, non sono mancati tentativi per metterlo da parte. L’unica iniziativa concreta pare essere stata quella del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, che avrebbe voluto sostituirlo con Rocco Bellantone, attuale presidente dell’Istituto superiore di sanità.
Tuttavia, non si registrano altri movimenti in questa direzione, e Schillaci sembra destinato a rimanere al suo posto. Improbabile anche una promozione dell’attuale sottosegretario Marcello Gemmato, il cui percorso verso la nomina a viceministro è da mesi bloccato e appare ormai fuori dai radar politici. Ancora più remota è l’ipotesi di un coinvolgimento di Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti italiani e responsabile Sanità di Forza Italia: mai contattato da esponenti del Governo, nonostante goda di una forte stima anche nella Lega, la sua posizione nettamente favorevole alle vaccinazioni sembra oggi incompatibile con le richieste di un cambio di direzione proveniente da una buona parte della maggioranza. Perché il punto è esattamente questo: la salute pubblica non è un terreno neutro dove far coesistere tutte le opinioni. E’ uno spazio in cui contano le prove, il metodo, il rigore. Sostenere che posizioni smentite dalla comunità scientifica abbiano la stessa dignità di quelle basate su dati non è apertura, è un pericoloso cedimento culturale. In un’epoca in cui il consenso si rincorre anche a costo di sacrificare la competenza, è fondamentale ricordare che il pluralismo non può essere applicato in modo indiscriminato alla scienza, dove la selezione delle evidenze è ciò che garantisce sicurezza e affidabilità.
Mettere sullo stesso piano medicina e complottismo non è democrazia: è irresponsabilità. Il caso Nitag, con tutto il suo portato concreto e simbolico, ha mostrato i limiti di una gestione sanitaria che si muove troppo spesso in equilibrio tra scienza e convenienza politica. L’assenza di Schillaci a Rimini chiude, per ora, questo capitolo con un gesto che suona come un’occasione mancata: quella di riaffermare, in un contesto pubblico e autorevole, che la salute collettiva non è negoziabile. Resta da vedere se la nuova commissione vaccini, che il ministro ha promesso di nominare a settembre, saprà riscattare questa fase di incertezza. Ma una cosa è già chiara: la fiducia, una volta incrinata, richiede tempo e coerenza per essere ricostruita. E oggi più che mai, la sanità italiana ha bisogno di entrambi.