
Gaetano Galvagno (Ansa)
Il Kebabgate siculo
A Milano si indaga sull’urbanistica che va in cielo, in Sicilia su quella che non si muove. Piccolo reportage
Se della bufera giudiziaria a Milano restano i grattacieli, la hybris dello skyline, quella in Sicilia – terremotando la politica – lascia le briciole unte del kebab. Sul sedile di un’auto blu presidenziale, manco a dirlo. I reati, sulla carta, si assomigliano: corruzione impropria, peculato d’uso e truffa. E’ l’ambizione che cambia. Non è infatti una questione penale. E nemmeno politica. Qui il problema è antropologico.
A Milano i magistrati indagano su assessori, immobiliaristi, planimetrie, metri cubi e skyline. La corruzione, se c’è stata, era finalizzata a costruire. A fare qualcosa. L’indagine siciliana invece coinvolge sette persone, tra cui il presidente dell’Assemblea regionale Gaetano Galvagno, con accuse che vanno dal peculato alla corruzione impropria. Il cuore del caso sono eventi come “Un Magico Natale”, “La Sicilia per le donne” e “Donna, economia e potere”, per i quali sarebbero stati promessi posti e incarichi retribuiti in cambio di contributi pubblici. Il tutto arricchito da sessanta viaggi con l’Audi A6 di servizio del presidente Galvagno per usi privati: spese, spostamenti per amici, parenti, collaboratori e snack interculturali – il kebab, appunto – con patatine fritte.
A voler essere maligni – o solo concreti – sarebbe stato quasi rassicurante se l’inchiesta siciliana avesse riguardato la corruzione per aver posato, che so, un pilone del Ponte sullo Stretto. Sempre un reato, ma almeno con un volume, un peso specifico, un tentativo di futuro. Invece niente: solo viaggi, eventi, inutili consulenze e spuntini sovvenzionati. Il paesaggio siciliano, nel frattempo, è bloccato su un’inquadratura fissa. Come se qualcuno avesse messo in pausa l’isola negli anni Ottanta e poi perso il telecomando. L’autostrada per Gela è l’unica al mondo che porta il nome di una città nella quale non arriva. Un’infrastruttura con la vocazione teatrale dell’incompiuto: parte, ma non conclude. Al punto che l’inchiesta di Palermo, a oggi, con i sessanta viaggi dell’Audi A6 del presidente dell’Assemblea regionale, di fatto ha prodotto uno dei pochi itinerari viabili della regione. Il resto non si muove neanche sotto indagine. Il centro direzionale di Catania è lì da vent’anni, vandalizzato e immobile, come una Pompei senza eruzione. Le terme di Sciacca stanno chiuse in attesa di un restauro che somiglia a una mummificazione idrica.
E insomma a Milano il possibile reato è verticale: grattacieli, skyline, planimetrie che si allungano come le ombre al tramonto. A Palermo è orizzontale: patatine fritte, sorelle da accompagnare, fondazioni che si autocelebrano in convegni con titoli da convention motivazionale. Sicché, come ben si capisce, tra il caso milanese e quello palermitano, la differenza più che penale è antropologica.
Beppe Sala siede con le gambe accavallate, circondato da piante tropicali, calzini arcobaleno e riviste di architettura. Galvagno ha il nodo della cravatta largo come un panino da Autogrill, lo smartphone sempre in mano, la portavoce che in un’intercettazione inaugura lo stile con un disinvolto: “Amore, iniziamo a fare lobby”. A Milano si discute con Boeri. A Palermo con il dj. Lì si manovra su cubicoli e volumetrie, qui su rimborsi e missioni. L’urbanistica lombarda sale verso il cielo, quella siciliana gira in tondo.
