Il caso

Meloni punta a un nuovo fondo Ue per le imprese colpite da dazi. "Ma l'intesa con Trump non salti"

Simone Canettieri

La cautela del governo e il vertice della premier con i vice a Palazzo Chigi. Il leader leghista: "Uscire dal Patto di stabilità". FdI tace sulle tariffe imposte da Trump e attacca il Pd: "È travolto dalla questione morale"

Dazi nella nebbia. Difficili da commentare.   E così anche il governo naviga a vista in attesa che l’accordo raggiunto da Stati Uniti e Unione europea – del quale girano due bozze divergenti – diventi giuridicamente vincolante. Nell’attesa, il silenzio è d’oro. Anche perché una volta che l’intesa avrà effetto inizierà la fase due: quella sul deal commerciale. Ovvero sulle esenzioni. L’Italia chiede che non venga applicato il 15 per cento su componenti auto, farmaci, vini, olio e agroalimentare. Poi si aprirà la partita dei sussidi. Sui quali regna  l’ incertezza. Basta ascoltare il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti che ieri mattina ha partecipato a un vertice con la premier e i vice Salvini e Tajani. Presenti anche i ministri Crosetto e Giorgetti, Difesa ed Economia 
Davanti alla possibilità di usare parte dei fondi del Pnrr per compensare le aziende colpite dai dazi l’esponente di Fratelli d’Italia spiega che “non c’è un quadro sufficientemente chiaro, atteso che il tema chiaramente è quello di verificare gli impatti delle esenzioni, concesse o meno”. Sicché, continua Foti, non è possibile avanzare alcuna valutazione “fino a quel momento e tantomeno prospettare una rimodulazione coerente del Pnrr che verrà rappresentato e discusso in Parlamento e non sui media, essendo quello l’organo deputato a decidere”. L’idea è quella di chiedere a Bruxelles di usare un nuovo fondo competitività per aiutare le imprese. Meloni si trova nella posizione di non auspicare una rottura tra Usa e Ue dopo l’accordo scozzese di domenica, nonostante le due versioni: “L’intesa serve”, ripete in tutte le riunioni riservate.  
In questo scenario, ecco Matteo Salvini, veloce a incunearsi nel dibattito, scantonando dalla linea di Palazzo Chigi dopo la nota congiunta di domenica sera. Il leader della Lega continua ad attaccare la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. E va bene. Ma aggiunge anche un altro elemento: quello di “azzerare” il Patto di stabilità. In quanto, spiega il vicepremier, i limiti posti da Bruxelles  “sono fuori dal mondo in questo momento con due guerre e l’ipotesi di uno scontro commerciale: questo von der Leyen lo può decidere domattina e se non lo decide vuol dire che non ha capito il momento che stiamo vivendo”. Un petardo gettato nella nebbia che difficilmente potrebbe trovare d’accordo la premier impegnata con il governo a far uscire l’Italia dalla procedura d’inflazione nel pieno di una trattativa sul ReArm Europe della quale ha discusso nelle scorse settimane anche con il commissario Ue per l’Economia Valdis Dombrovskis. 
La giornata, la prima da quando Meloni è tornata a Roma dopo il viaggio in Etiopia, trascorre nell’attesa di una telefonata fra la presidente del Consiglio e l’inquilino della Casa Bianca. Con le opposizioni che continuano a chiedere che Meloni riferisca in Aula – e con Giuseppe Conte che “vede” addirittura le elezioni anticipate – Fratelli d’Italia si rifugia sull’usato garantito: il Pd. Il centro studi del partito di via della Scrofa ha sfornato in queste ore l’ennesimo dossier a uso e consumo dei parlamentari. Niente di croccante, ma dal titolo suggestivo ed evocativo: “La questione morale travolge il Pd”. Accusato, si legge nel documento visionato dal Foglio, di essere un partito che “in passato ha usato e oggi continua a usare il giustizialismo per colpire gli avversari politici. Le vicende giudiziarie delle ultime settimane fanno emergere chiaramente un garantismo a corrente alternata della sinistra, che riguarda solo i propri esponenti politici”. Nell’allegato di quattro pagine usato per la propaganda si fa la lista dei casi giudiziari che stanno scuotendo le amministrazioni dem: Milano, le Marche, Torino e la Puglia. Ovvero le inchieste a carico del sindaco Beppe Sala, dell’ex primo cittadino di Pesaro ora europarlamentare e candidato governatore Matteo Ricci, del deputato torinese Mauro Laus e per allungare il brodo anche l’iniziativa dell’Anac nei confronti del presidente Michele Emiliano. Conclude la nota informativa del Centro studi del Senato di FdI: “Non si può però ignorare che le inchieste che coinvolgono il partito di Elly Schlein e i suoi amministratori a diversi livelli pongono una questione morale all’interno del Pd, oltre a svelare una certa ipocrisia da parte di chi fino a ieri non ha esitato a presentare mozioni di sfiducia e richieste di dimissioni quando a essere finiti nella lente dei pm sono stati gli esponenti del governo o del centrodestra”. Intanto i dazi, come le stelle di Cronin, stanno a guardare.       

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.