il colloquio

Calenda: “L'Ilva? Chiuderà. Meloni mi faccia fare il consulente per la politica industriale”

Ruggiero Montenegro

"Un altro disastro, scritto da anni. Tutti volevano chiudere l'impianto", dice il leader di Azione. "L’Italia rischia la deindustrializzazione. La priorità è intervenire sul costo dell'energia. Ma il governo è immobile"

“Stiamo perdendo il più grande investimento dell’industria del sud. Un altro disastro”. Carlo Calenda parla dell’Ilva di Taranto, il cui futuro sembra ormai segnato da una chiusura sempre più probabile. Il leader di Azione è rammaricato per quello che definisce “un atto di autolesionismo”. Ma in fondo non è sorpreso: “Che potesse finire così credo di averlo detto esattamente il giorno in cui il Conte II ha fatto saltare quello che era un accordo irripetibile, blindato, con il più grande produttore d’acciaio del mondo, che ha poi preferito investire in Francia invece che a Taranto”. 

Erano i tempi di Arcelor Mittal e i successivi tentativi non hanno prodotto risultati. Ieri intanto il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato in videoconferenza sindacati. Alle parti sociali ha spiegato che se entro luglio non si arriverà all’accordo di programma e all’Autorizzazione integrata ambientale, sarà complicato non chiudere l’impianto tarantino, per affetto della sentenza del tribunale di Milano. Il ministro ha detto inoltre che è importante sapere cosa intendono fare gli Enti locali, mentre i sindacati chiedono di riattivare il tavolo permanente a Palazzo Chigi. 

Senatore Calenda, che sta succedendo? “In Italia vogliamo l’energia ma non i gasdotti. Vogliamo il lavoro e l’industria, ma solo in teoria. Perché poi quando c’è fare un impianto non lo permettono. Questo è il risultato di un paese che non fa i conti con la responsabilità”. Secondo il leader di Azione, al di là dei proclami e delle posizioni politiche, la chiusura dell’Ilva è quello che in molti auspicano un po’. “Dal presidente Michele Emiliano al comune di Taranto. Così come i sindacati e la magistratura. Quello che succederà adesso è che daremo la cassa integrazione all’80 per cento fino al pensionamento degli operai, inventandoci qualche accordo finto. Ilva chiuderà, è scritto ormai da anni. Ci resta solo da capire quanti miliardi butteremo nel frattempo”. E dunque, aggiunge ancora l’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Renzi, “se fossi al governo invece di ipotizzare cose stravaganti, penserei piuttosto a trovare i 15 miliardi necessari per fare le bonifiche quando l’acciaieria sarà definitivamente chiusa”. Calenda riavvolge quindi il nastro ai tempi in cui la prospettiva era l’acciaio green. “Mi ricordo quando ne parlavano Emiliano e Nicola Zingaretti, tutte cavolate di gente che non aveva idea di cosa stesse dicendo. Ci sono amministratori la cui ambizione è esercitare il potere di interdizione”. 

Da allora è passato qualche anno. Con il governo Meloni è cambiato qualcosa? “Hanno parlato di investitori straordinari per l’Ilva, ma erano progetti che non esistevano. La stessa cosa è successa con la Fiat e con gli annunci di Elkann: prometteva un milione di veicoli da produrre in Italia e alla fine erano 400 mila”. A questo si sommano le criticità, il flop, di Industria 5.0. E alla fine il quadro che ne viene fuori è quello di un paese sempre meno competitivo. “Se continuiamo in questo modo siamo destinati alla deindustrializzazione”.

Con una prospettiva del genere, aggiunge Calenda, la priorità è invertire la tendenza: “A partire dal costo dell’energia, che va ridotto”. Azione ha presentato una proposta che prevede di disaccoppiare il prezzo dell’energia rinnovabile da quello di borsa e di stipulare contratti pluriennali a prezzo fisso per le imprese. Insieme ad altre misure. “Un pacchetto  apprezzato anche da Confindustria”, dice Calenda. “L’ho presentato a Meloni e al governo da otto mesi, con tutti i dettagli”. Ha avuto un riscontro? “Mi hanno detto: ‘hai ragione’. La stessa cosa è successa con Transizione 5.0., che non funziona”. E poi? “Nulla, come al solito. Questo governo non è in grado di fare accadere mai niente”, risponde il senatore. Con un battuta: “Se mi vogliono dare una-due settimane per riscrivere la politica industriale lo faccio gratis e molto volentieri, come consulente del governo”. Si sta proponendo per un ministero? “No”, ride Calenda. “Sto bene all’opposizione. Ma tutto questo è paradossale perché sanno bene che non ho pregiudizi ideologici, sto al merito e quando sono d’accordo voto i provvedimenti della maggioranza. In questo caso si tratta di temi fondamentali per l’industria”. Insomma Azione non si muove dal centro. “Se non si costruisce un vero partito liberale, nel senso einaudiano del termine, pragmatico e non ideologico, questo paese prima o poi si farà male e dovrà chiamare un altro Draghi. Ma credo – conclude Calenda – che la risposta debba essere politica. Non è facile, ma è quello su cui stiamo lavorando”.

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