
(foto LaPresse)
Il colloquio
Pombeni: “La mozione su Israele non rende onore all'Università di Bologna”
Lo storico, direttore della rivista "Il Mulino", sul documento dell'ateneo bolognese : "Si è voluta inseguire l'onda di una moda. L'università non serve per giudicare, ma per favorire la conoscenza"
L’Università degli studi di Bologna approva una mozione in cui si fa riferimento esplicito al genocidio a Gaza, apre al boicottaggio degli accordi con le università israeliane. E riduce il conflitto in medio oriente a una “escalation militare israeliana”. Mentre al contempo non risulta abbia discusso omologhe mozioni legate ad altri conflitti come l’invasione russa in Ucraina o i rapporti con il regime iraniano. Cosa ne pensa lo storico Paolo Pombeni, direttore della rivista “Il Mulino”? “Parlo da docente emerito di quell’ateneo e sono dispiaciuto. Credo si sia voluta inseguire l’onda di una moda e penso che questo non renda onore a un’istituzione intellettuale di quel calibro”, dice Pombeni al Foglio. Premettendo di parlare “a titolo personale, sono considerazioni mie, non voglio da una linea”. Secondo lo storico, che ha insegnato all’Alma mater per decenni, “in questa fase storica gli intellettuali vanno incontro a un problema psicologico importante. Guardano la tragedia in atto a Gaza e si chiedono: come possiamo non dire nulla? Eppure io credo che sparare nel mucchio, volendo evidenziare che col male non si vuole avere niente a che fare, serva a poco. Anzi, bisognerebbe avere una maggiore capacità di discernimento”. Pombeni chiarisce con un esempio l’ondata di richieste di boicottaggio nei confronti di Israele presentate nelle università italiane dal 7 ottobre in poi. “E’ come se si volesse usare la scienza per ergersi a giudici. Mentre l’unico obiettivo dell’università dovrebbe essere quello di stimolare, di favorire la conoscenza. Un compito importante per un’istituzione come l’università all’interno della nostra società”.
Quel che stiamo osservando nei confronti di Israele, per altro, non è nemmeno una novità. Anche se oggi rischia di rinfocolare i sentimenti antiebraici. “E’ ovvio che quando individui un nemico gli attribuisci tutte le nefandezze di questo mondo. E’ successo con gli americani in seguito alla guerra del Vietnam. E adesso questa dinamica si ribalta sullo stato ebraico. Il cui governo però, e questo ci tengo a ribadirlo con forza, sta facendo delle cose inaccettabili”, ragiona Pompeni. “E però credo anche che forse non si stia facendo abbastanza per far sì che questa cosa non sconfini automaticamente nell’antiebraismo. E’ chiaro che c’è un problema di un folle neosionismo messianico, ma è come se si attribuissero a tutti i cristiani le sue derive più integraliste”. L’altro punto, secondo lo storico, è che “molti si aspettano che tu ti debba schierare, come se ci si dovesse mettere nei panni del padre eterno. E invece, ripeto, compito degli intellettuali, delle università, è quello di diffondere la conoscenza. Non di arroccarsi in un giudizio. L’università deve disarmare quest’idea per cui la scienza serva non a capire il mondo ma a giudicarlo”.
Qualcuno, in queste rivendicazioni espresse nei Senati accademici, ci ha scorso un revival settantottino che permette ad alcuni di cavalcare una certa visibilità politica. “Ma anche nell’Ottocento c’erano dinamiche simili all’interno degli atenei”, spiega ancora Pombeni. “Il punto è sempre quello che spiegavo poc’anzi: cercare di inalberare il vessillo del sapere critico in un momento in cui se ne vuole sempre meno e si tende a un assoluto appiattimento. Il sapere critico è la nostra più grande conquista e dovremmo cercare di preservarlo”. In tutto questo, i rettori non hanno delle responsabilità precise di “scarso coraggio”? Del resto troppo spesso finiscono per capitolare sotto le pressioni di gruppi minoritari ma rumorosi. “Ma in questo caso è come se dal singolo rettore ci si dovesse aspettare degli atti di eroismo, e invece molto spesso i rettori sono in quella posizione perché allenati al compromesso”, conclude Pombeni. “Ciò detto, è interessante rilevare come questa situazione riguardi delle minoranze, mentre allo stesso tempo le maggioranze sono apatiche. Ecco, credo che questo in definitiva stia portando a snaturare la nostra società della conoscenza”.