Il racconto

L'abaco di Schlein. Non parla di sconfitta e riparte da Taranto: "Abbiamo più voti di Meloni". L'intifada riformista

Carmelo Caruso

I riformisti si scatenano contro la segretaria, ma lei in una nota parla di successo, e i suoi difendono la "dottrina". "La linea è giusta" e confida: "Io riempio le piazze e non solo i teatri"

Da “ripariamo agli errori del Pd” a ripariamoci nell’algebra. E a Taranto. E’ la grande riparata. Il referendum  fallisce, il quorum scende al 30 per cento, come il bastone del limbo, il ballo caraibico, Elly Schlein non si trova (fino alle 18.09) Ciccio Boccia gioca con l’abaco e dichiara: “Hanno votato 15 milioni di italiani, c’è un fronte che vale come il centrodestra”. Dov’è la segretaria?  Alle 15,17 scatta l’intifada del Pd riformista con  Picierno (“Un regalo a Meloni”)  Sensi (“Sconfitta bruciante”)  Gori (“Autogol”). La corrente di Guerini si riunisce oggi. Graziano Delrio, che è un lord, dice al Foglio: “Il popolo non è solo la Cgil”, ma per Igor Taruffi, il Makarenko di Schlein, il pedagogista che formava l’homo sovieticus: “Siamo in linea con il nostro popolo. La direzione è giusta”. E’ già come la pipa di Magritte: questa non è una sconfitta.


Grazie al testardamente referendaria di Schlein qualcuno potrà ora dire: Renzi ha fatto cose buone. Resta il Jobs act che nel Pd di questo tempo puzza come l’aglio, ma la sorpresa è il quesito sulla cittadinanza. Se vale l’algebra di Ciccio Boccia, il popolo che ha votato è popolo nostro, di sinistra (e con Maurizio Lupi, unico a dire, a destra, “io voto”, come la mettiamo? I dissidenti sono allora suoi?) significa che sulla cittadinanza quasi un quarto di popolo di sinistra la pensa come Vannacci. Il trentacinque per cento dei votanti dice “no” alla cittadinanza in 5 anni, mentre l’86 per cento abiura il proprio passato. La stagione dei tormenti Pd è salva. Passeremo l’estate ad ascoltare, da una parte, quella Schlein, la hit “Un vecchio errore, pagato caro”, e l’altra, quella Guerini & riformisti, “E la chiamano vittoria”. Da oggi tornano anche le milonghe, “congresso anticipato”, “assembla Pd urgente”, “le correnti contro Schlein”. La pelata più amata dalla segretaria, Nico Stumpo, nota che se leggiamo i numeri del referendum  “ce la giochiamo con la destra” e pure Schlein dice dalla sua cabina, agli amici di cinema (ma dov’è la segretaria?) che “con me il Pd ora riempie le piazze e non solo i teatri”. Si capisce già la mattina che il quorum è in zona Spalletti, il ct della Nazionale, esonerato, e che l’analisi del voto, avverrà sotto forma di comunicato stampa. Dov’è la segretaria? Al Nazareno non c’è nessuno.  Servono tre ore e venti prima di ricevere la nota, 1.879 battute,  trenta righe di giornale, un’enormità, roba da settimanale comunista Rinascita, quello diretto da Luciano Barca. Le domande stanno a zero, ma almeno c’è il titolo, il ripartiamo da Taranto perché, scrive Schlein, “oggi la destra ha perso a Taranto”. Nel Pd si riparte sempre da qualche città, Assisi, Genova, ora Taranto, ma nessuno dice, l’unico che lo dice è Alessandro Alfieri, che la sinistra “vince nelle città ma perde poi le politiche nei paesi, quelli da venticinquemila abitanti. Va bene Genova ma esiste l’Italia di Cernusco sul Naviglio, Ornago, Saronno…”. E perde anche se non ha il centro, quello di Renzi e Calenda, che in teoria farebbe parte dei 15 milioni che fanno scrivere a Schlein: “Per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022”, perché, ancora Schlein, “sapevamo che al quorum sarebbe stato difficile arrivarci, ma i referendum toccavano questioni che riguardano la vita di milioni di persone ed era giusto spendersi nella campagna senza tatticismi e senza ambiguità”. In verità, dicono i referendari, gli unici che si “sono spesi”, nel senso che hanno sganciato i soldi, sono i volenterosi Italia, i Paolini-Errani della firma, Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova, e che il Pd sarebbe stato più spilorcio di Zio Paperone. Insegnava Berlusconi al nipotino, nel film di Sorrentino, Loro, che la verità è “sempre frutto del tono e della convinzione con il quale l’affermiamo” e il Pd segue la sua lezione. Il maestro Goffredo Bettini fa sapere che “non è intelligente parlare di sconfitta e che la disfatta della sinistra è pura propaganda”, Brando Benifei, da Bruxelles, se la prende contro la martellante “campagna astensionista”. Al telefono, il saggio Luigi Sbarra, ex segretario della Cisl, spiega al Foglio, che “ci sono temi complessi che riguardano il mercato del lavoro che andrebbero affrontati in Parlamento invece che farne tifoseria. E’ chiaro che adesso tutti si chiederanno; quanto è costato un referendum, ne valeva la pena? A che serve il  Parlamento?”. La non sconfitta dunque di chi è? Giuseppe Conte che a piazza San Giovanni, sotto un sole libico, si è presentato in giacca insieme a Schlein, Fratoianni e Bonelli, che indossavano la maglia della salute, deplora (è un verbo che amerebbe) “le esultanze della destra” che “ sono sguaiate”, lui che spalancava il balcone di Chigi per urlare con il suo carosello: “Abbiamo abolito la povertà”.    Vuole adesso  abolire il quorum dei referendum e anche Conte santifica i  15 milioni, che sono la forza storica, la “base” (per altezza). Il solito Bonaccini, e lo dirà oggi su qualche giornale, registra invece che “l’obiettivo è stato mancato, e che occorre riflettere”. Dove sta la sobrietà? La parola a Giovanni Diamanti, di Youtrend, docente a Padova: “Per i comitati referendari è una sconfitta, e questo è indubbio, ma se si intesta la sconfitta al centrosinistra, gli si intestano anche i 15 milioni di voti, un bottino niente male”. La vittoria è di tutti e la sconfitta è già del solo Landini. Non l’ha chiamato nessuno, né Conte né Schlein, ed è rimasto con un piatto di cozze. Sarà forse  andato a Taranto?

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio