
L'intervista
Alfieri (Pd): "Schlein ha sbagliato a strumentalizzare il referendum"
Il coordinatore di Energia popolare: "Bisogna avviare una riflessione, capire perché la sinistra non arriva nelle periferie"
Senatore, com’è l’atmosfera nel partito all’indomani del referendum mancato? “Più che di atmosfera, parlerei della necessità di avviare una riflessione”. Risponde così, al Foglio, Alessandro Alfieri, il coordinatore della minoranza del Pd Energia popolare. “Abbiamo 14 milioni di persone che votano – prosegue – e non possiamo usare lo stesso lessico della destra. Gli elettori vanno rispettati. Allo stesso tempo, però, rivolgo un appunto ai compagni di partito”. Prego. “Ecco, io non sposo l’eccesso di strumentalizzazione politica. Non condivido espressioni come ‘Avviso di sfratto al governo Meloni’, perché il paragone tra referendum ed elezioni politiche è fuorviante”.
Certo. E lei non crede che sia altresì fuorviante, da parte della sua segretaria Elly Schlein, agitare i 14 milioni di elettori come fossero un suo successo? “Sinceramente non vedo questo. Sarei stato più prudente nelle conseguenze politiche del referendum. Allo stesso tempo va sottolineato che i 14 milioni di elettori vanno valorizzati rispettati, al di là del voto espresso, perché il referendum è un esercizio di democrazia. Chi a destra parla di spreco di denaro, confonde lo spreco con il costo della democrazia. Semmai, bisognerebbe pensare a come migliorare lo strumento referendario”. Come? “Alzando la soglia per presentare il referendum a un milione e avere un quorum del 50 per cento più 1 rispetto a coloro che si sono recati al voto alle ultime elezioni politiche”.
Ben sapendo della difficoltà di raggiungere il quorum, è stato un errore imbarcarsi in questa sfida? “Le persone a me vicine hanno sempre pensato che la strada maestra per affrontare i temi del lavoro fosse il Parlamento. Dopodiché, se tali temi vengono posti dalla Cgil, un grande partito di sinistra, come il Pd, non può non esprimere il proprio orientamento su quesiti che toccano temi centrali della nostra proposta politica. E come penso sia stato giusto che il Pd indicasse la propria posizione, allo stesso modo ho ritenuto corretto che non si chiedesse di applicare quelle posizioni a chi, in passato, nello stesso partito, aveva sostenuto il Jobs act. Ora facciamo tesoro del messaggio che arriva da milioni di persone di una maggiore attenzione sui temi del lavoro”.
Sicché arriviamo a uno snodo del voto forse inatteso. Ossia il quesito sulla cittadinanza. Da cos’è dipeso, secondo lei, scarto fra primo e ultimo referendum? “Devo dire che quei quattro milioni di differenza tra il sì al primo quesito e i sì al quinto mi hanno impressionato. Al netto di elettori di centrodestra che hanno votato no, una parte, evidentemente di centrosinistra, sul tema della cittadinanza ci inviano un messaggio di preoccupazione”. Quale? “Si intrecciano tanti temi: sicurezza, integrazione, immigrazione. Argomenti di cui credo sia utile discutere dentro gli organismi dirigenti, e io lo chiederò. Alcuni aspetti hanno hanno funzionato, altri meno. E un partito importante deve discuterne con equilibrio”.
Lei pensa che l’abbassamento della soglia per ottenere la cittadinanza non abbia convinto neppure la vostra base elettorale? “Io vedo, in generale, tre questioni”. Quali? “In primis la necessità di un rapporto equilibrato con il mondo sindacale: è opportuno ricucire una relazione con la comunità della Cisl, molti di loro hanno storicamente guardato a noi. Poi noto la divaricazione sempre più marcata, nel voto, fra grandi centri e realtà più piccole: c’è una percentuale di affluenza alta nelle grandi città, dove l’egemonia del centrosinistra crea una narrazione sovradimensionata, mentre nei piccoli centri, nel complesso più popolosi, il nostro messaggio non si radica. Infine, c’è il tema della cittadinanza, che va messo al centro dell’agenda politica”. In che modo? “Fuori dalle città non basta opporre alla paura del cambiamento la speranza del cambiamento. Voglio dire: bisogna anche assicurare che la vita delle persone non venga stravolta. Soprattutto la vita dei più fragili. I quali, se votano no, non vuol dire che siano razzisti, xenofobi, ma hanno bisogno di essere riconosciuti nei loro timori e nelle loro ansie”.
