
Ansa
il non voto
La dissimulazione onesta di Meloni: poteva votare sì al referendum ma sa che governare è diverso dall'affiggere gride sui muri
La premier va al seggio ma non vota, consapevole che governare è un’altra cosa rispetto all’agitare slogan. Un gesto barocco ma lucido, che rivela la differenza tra capacità vera e propaganda militante
Una tiritera convenzionale, alla fine persino noiosa e un po’ irritante come tutte le tiritere, dice che “Meloni è capace”. In effetti lo è, ma il senso sottopelle dell’adagio è che si circonda di incompetenti, che non ha una classe dirigente, non è antifascista secondo il canone, e via con altre tiritere. Insomma, la capacità personale attribuita a Meloni è un dire e non dire. Proprio come l’escamotage retorico di dire: vado al seggio, ma non voto. D’altra parte la storia è famigerata come maestra di vita, anche nelle dissimulazioni oneste. La scelta barocca di Meloni, riassumibile in un “ci sono per la democrazia che è anche simbolo, ma non per uno stravolgimento del suo carattere attraverso un referendum farlocco”, dipende dal celebre “andate al mare” di Bettino Craxi quando un referendum doveva decidere della preferenza unica. Quell’appello fu segnato nel calendario come l’inizio di un offuscamento, di una parabola discendente. Se ne colse anche un elemento di irrisione gratuita e arrogante della partecipazione democratica. Craxi non era un dissimulatore, ma era onesto, qualunque cosa ne dicano i nani e le ballerine che uscirono dalla tenda del circo quando cadde in circostanze lugubri per la democrazia repubblicana. Gli domandai il perché di quella scelta, avendogli suggerito invano di soprassedere, e da politico ideologico ma anche molto pratico mi rispose: “Se passa la preferenza unica chiudo il partito”. Molto chiaro, purtroppo. E tra il quesito sul Jobs Act e quello sulla preferenza unica esiste una affinità di metodo politico: gli stessi che vollero abolire le preferenze hanno passato poi gran tempo a invocare il loro ripristino, magari per via referendaria, come gli stessi che votarono la riforma Renzi del lavoro, poi imitata da Macron in Francia, ora vogliono abrogarla.
Il paradosso della capacità personale è che Meloni potrebbe tranquillamente, in teoria, votare sì all’abrogazione di una legge contro cui votò in Parlamento, uscendo addirittura dall’Aula per protesta, sarebbe la più titolata. Ma governare è diverso dall’affiggere gride sui muri. E La Presidente capace lo sa, mentre il sindacalista incapace, Landini, lo ignora, e al suo seguito tutta la combriccola dei progressisti che vuole negare con altrettanta chiarezza quello che invece affermò quando i riformisti “renziani” provavano a modernizzare sinistra, legislazione del lavoro e istituzioni. Negare il quorum al referendum abrogativo è un modo di votare. Per rappresentare questa legittima intenzione si può essere sfacciati e onesti (“andate al mare”) o dissimulatori onesti come fu l’uomo barocco del dire e non dire (vado e non ritiro la scheda elettorale). Non avrà una classe dirigente (banalità paragonabile a quell’altra filastrocca servile: lui è bravo, ma il male sono i suoi consiglieri), potrebbe essere più coraggiosa in molti campi e più prudente in altri, ma questo suo tratto indica, non che se ne possa o debba abbracciare la visione, ma certo “ci sa fare”. E questo, per il vario e periclitante establishment europeo e italiano, insidiato dal semplicismo e dalla sfacciataggine populista, è un tratto essenziale, almeno il cinquanta per cento di un giudizio politico.
