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Giorgia Meloni sui referendum dell'8 e 9 giugno: "Vado a votare, ma non ritiro la scheda"

Redazione

La premier rompe il silenzio sul voto ai referendum. Il centrodestra punta sull’astensione per far fallire il quorum, mentre il centrosinistra – soprattutto il Pd – resta diviso su lavoro e cittadinanza

La premier Giorgia Meloni ha chiarito la propria posizione in vista dei referendum dell’8 e 9 giugno. “Vado a votare, non ritiro la scheda. È una delle opzioni”, ha dichiarato oggi a margine delle celebrazioni per la festa della Repubblica.

Sul fronte referendario, la maggioranza ha mostrato finora una linea netta, forse più chiara di quella dell’opposizione, che vede ancora disaccordi e spaccature tra le sue fila. I partiti di governo puntano a impedire che i quesiti abrogativi raggiungano il quorum. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, contrario ai referendum, ha dichiarato apertamente che farà campagna affinché gli elettori restino a casa, promuovendo l'astensione. Pur senza aver ancora deciso personalmente come voterà, scoraggerà comunque la partecipazione. 

 

 

Il vicepremier Antonio Tajani, capo di Forza Italia, ha confermato l’orientamento verso un “astensionismo politico”, rifiutando le proposte referendarie. La Lega di Matteo Salvini invece si oppone in particolare al quesito sulla cittadinanza, definito “il più pericoloso”. Secondo il vicepremier, l’approvazione porterebbe a una concessione indiscriminata di cittadinanze, con possibili ripercussioni negative sulla vita quotidiana degli italiani.

 

 

Le dichiarazioni di Meloni arrivano dopo giorni di pressioni da parte dell’opposizione affinché la premier chiarisse la sua posizione. “Noi invitiamo tutte e tutti ad andare a votare e vorremmo sapere se lo farà anche la presidente del consiglio Meloni, che continua a ignorare e a tacere su questi referendum”, ha dichiarato sabato a Firenze la leader del Pd Elly Schlein durante un’iniziativa referendaria. “Giorgia Meloni deve dire cosa farà l’8 e il 9 giugno, se e come andrà a votare”. Schlein ha sottolineato che i partiti del centrodestra “temono la partecipazione, il riscontro democratico di cittadine e cittadini che vogliono dire basta alla precarietà e sì a una migliore legge sulla cittadinanza”. Inoltre, ha attaccato Ignazio La Russa, definendo “molto grave” il fatto che la seconda carica dello stato promuova la campagna per il non voto.

Nel partito democratico il quadro sui referendum è confuso, soprattutto tra i riformisti. Nonostante l’appello all’unità e al sostegno della campagna da parte di Schlein, prevalgono posizioni individuali: alcuni esprimeranno voto favorevole a tutti i quesiti, altri solo su quello della cittadinanza o su pochi selezionati. Lo stesso presidente del partito dem, Stefano Bonaccini, evita di esporsi. La situazione nel Pd è frammentata e in netto contrasto con quella unitaria auspicata e voluta dalla segretaria Schlein.

 

 

La mancata unità tra i partiti di opposizione complica il raggiungimento del quorum. Il Movimento 5 Stelle sostiene i quattro referendum sul lavoro, lasciando libertà di voto sul quesito cittadinanza. Il segretario Giuseppe Conte ha annunciato che voterà “sì” a tutti i quesiti. Italia Viva e Azione sono contrari ai quesiti sul lavoro ma favorevoli a quello sulla cittadinanza. +Europa voterà “sì” soltanto su cittadinanza e sicurezza negli appalti. Mentre Alleanza Verdi-Sinistra sostiene con convinzione tutti e cinque i quesiti. 

Sul versante sindacale, la Cgil sostiene con decisione i quesiti sul lavoro, ribadendo che il referendum è una risposta concreta alla precarietà e alla mancanza di diritti, e che il quorum è ancora possibile, come ripete il segretario generale Maurizio Landini. Anche la Uil invita a votare come esercizio di diritti costituzionali, sostenendo due quesiti sul lavoro e lasciando libertà di coscienza sugli altri tre. Contraria invece la posizione della Cisl.