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L'intervista

"Meloni non è stabile, è immobile”. Chiacchierata con Matteo Renzi, l'oppositore non fantasma

Maurizio Crippa

“L’incantesimo è finito, nelle cancellerie internazionali se ne sono accorti prima di noi. Non siamo più nel gruppo di testa europeo. Eppure non se ne parla, si racconta solo che la premier ha un buon rapporto con Trump”, dice l'ex premier. Controllo sulle redazioni e Golden Power, pessimi segnali.  La sinistra che lavora per il governo e il 2027

Giorgia Meloni. “Le riconosco una grande capacità di creare consenso: infatti riesce a far passare l’idea che ci sia un governo stabile, e invece abbiamo un governo immobile, che è diverso”. Non c’è nessuna Gestapo al governo, dice, ma lo spin nelle redazioni, il racconto addomesticato della politica, brutti segnali come il Golden Power su un’operazione di mercato bancario nazionale vanno contrastati. Non si traveste da fantasma, Matteo Renzi. Anzi l’opposizione che privilegia le sceneggiate non gli piace. A Giorgia Meloni analizzata come L’influencer ha dedicato un libro, ma non ne fa problema personale, affatto. Solo  politica. Così, in mezzo a un’opposizione discutidora e declamatoria, travestita da fantasma, più attenta all’effetto che fa sui social che alla concretezza in Aula, il presidente di Italia Viva è diventato oggi il più agguerrito oppositore del governo di Giorgia Meloni. E pensare che un tempo si diceva che si somigliassero. Invece, dopo le ultime vicende internazionali: “L’irrilevanza di Meloni all’estero è ormai evidente. Il racconto è smontato. Esclusa dal treno per Kyiv, esclusa dal vertice di Tirana. E poi smentita da Macron quando ha provato ad attivare la macchina della propaganda di Chigi. Ma ormai ci credono in pochi”.


Il lenzuolo da fantasma non è un travestimento suo. Ma per un attimo lo tratteniamo su un altro terreno, quello del cattolico che prova a farsi un’idea del nuovo Papa. “Molti hanno detto che è stato un Conclave disegnato da Francesco, anche se presumibilmente senza un grande disegno strategico, una vera maggioranza. Mi sembra invece che abbiano scelto un uomo con una grande esperienza pastorale, ma che ha fatto in tempo a stare anche in un mondo diverso, quello ricco dell’occidente; ha una laurea in Matematica ma ama la questione sociale; parla di intelligenza artificiale e viene dalla grande lezione di sant’Agostino; è vissuto in Italia e parla italiano meglio di molti parlamentari. Dopodiché il Vaticano, per noi credenti, conta per il  messaggio di Cristo; poi però noi che facciamo anche politica ci rendiamo conto che il Vaticano ha una forza straordinaria. Se oggi vediamo un qualche primo segnale positivo in Ucraina è merito anche di quell’incontro in San Pietro, che funziona come luogo di dialogo molto più della Casa Bianca”. I primi segnali, anche sul medio oriente, mostrano capacità di equilibrio e forse di intervento. “Quando dice ‘i nemici si guardino negli occhi’, dice una frase che molti ideologici del nostro tempo non hanno mai voluto considerare, ma è evidente: a un certo punto devi avere occasioni di diplomazia e dialogo. La diplomazia serve con i cattivi, non con i buoni. Con i buoni si va a cena. Quindi vediamo Leone XIV cosa farà, ma ha iniziato bene”. 


Invece secondo lei non ha iniziato bene, e non sta facendo bene, il governo italiano. Lei è, in questo momento, il più consequenziale oppositore di Giorgia Meloni; mentre ci sono altri oppositori, la maggior parte, che gridano ma alla fine sembra che portino l’acqua per l’orto alla presidente del Consiglio. Lei ha invece un giudizio negativo innanzitutto su Giorgia Meloni in quanto premier. Davvero va tutto così male? Eppure non solo i sondaggi, ma anche gli indicatori economici – l’occupazione, la crescita che va meglio del previsto  sembrano darle ragione. “Non è una questione personale. Anzi ricordo che quando vinse le elezioni, settembre 2022, io ero in Giappone ai funerali di Shinzo Abe e dissi: con Meloni non c’è nessun pericolo fascismo, valuteremo cosa saprà fare”.

“Vede, io ho una caratteristica, a volte mi viene riconosciuta a volte no, cioè che dico spesso delle cose guardando in avanti. Magari in alcuni casi si rivelano errate, ma talvolta invece le cose che dico, accolte dallo scetticismo generale, a distanza di anni si dimostrano esatte. Faccio degli esempi di cose che si sono dimostrate vere, dunque utili. Quando dicevo che bisognava portare Draghi a Palazzo Chigi e mandare a casa Conte mi davano del matto, dell’irresponsabile, ‘ma come, in piena pandemia?’. Quando dicevo che l’Arabia Saudita era un nuovo interlocutore, che stava cambiando, quante critiche. E adesso è evidente a tutti, non soltanto per Trump: anche Meloni che mi criticava ora c’è andata. O dicevo che bisognava fare il Tap perché serviva l’autosufficienza energetica contro i rischi geopolitici o i blackout: cose che andavano controcorrente nell’immediato, poi piano piano si scopre che non avevo tutti i torti”.


Quindi ora, mentre Giorgia Meloni è solida nei consensi, ottiene buoni risultati alla guida del paese che le vengono riconosciuti anche all’estero, l’idea di Matteo Renzi è che invece non sia così, che il declino del governo e il relativo collasso dei consensi sono vicini, se non dietro l’angolo. Non è un po’ troppo? “I dubbi su questo governo li avevo già, oggi mi pare una situazione simile a quando avvisavo che il governo Conte era da mandare a casa. Tutti dicono che Giorgia è bravissima, io affermo che non lo è per quanto riguarda la politica interna – qualcuno sa dire quali riforme ha fatto? – ma se possibile a livello di politica estera è peggio, basta guardare gli ultimi fatti”. Ci esponga la sua analisi. “Una posizione diametralmente opposta ad altri. Il mio ex ministro Carlo Calenda fa addirittura un congresso per dire che Meloni è molto brava, che a livello di politica estera è anzi straordinariamente brava. Non la penso così. Penso che lei abbia capacità di creare consenso: riesce a far passare l’idea ci sia un governo stabile, e invece abbiamo un governo immobile, che è diverso. La stabilità è un concetto positivo, l’immobilismo negativo. Nessuna vera riforma fatta in tre anni”.

Ma intanto è un esecutivo tra i più longevi e ci sono indicatori economici che vanno bene, come il lavoro. “Ma quali indicatori economici? Quelli dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi? Parliamo di produttività: è aumentata o è diminuita rispetto allo scorso anno? Il debito rispetto allo scorso anno? Il fatto che 191 mila ragazzi lascino l’Italia, record storico, ai miei tempi erano la metà? Il fatto che alla Caritas il 25 per cento di quelli che chiedono aiuto sono persone che hanno un lavoro, ma non basta? Le statistiche sul lavoro, che sono oggettivamente straordinarie, anche perché in tutto il mondo oggi chiunque trova lavoro? Il problema è che è lavoro pagato poco, e lì sbaglia anche l’opposizione, proprio non capiscono: il tema chiave non è il salario minimo ma il salario medio, sono le famiglie e le persone che non ce la fanno. E Meloni cosa fa? Continua a dare i numeri dell’occupazione e le statistiche dei mercati internazionali che sicuramente premiano la stabilità dell’esecutivo. Ma i numeri veri dicono che aumenta il costo della vita e non aumenta lo stipendio della gente”. Si tratterebbe solo di una narrazione, come si dice. Possibile? “E’ come se si sia ormai fissato un disegno, un quadro che abbiamo dipinto tutti insieme: l’opinione pubblica, la politica ormai hanno stabilito che non c’è alcun dubbio che Meloni sia brava. In economia e pure in politica internazionale. Il racconto: è andata da Trump e l’ha trattata bene, mentre il povero Zelensky l’ha preso a calci. Ma stiamo scherzano? Ci sono andati tutti, con Macron e Starmer parla molto di più e non sono stati trattati peggio di Meloni, anzi al contrario”


Cosa c’è che non va, secondo Renzi, rispetto a una lettura dei fatti sufficientemente condivisa, se non dall’opposizione, quantomeno dagli osservatori più istituzionali? “Vengo a un punto che mi sembra centrale, anche perché si collega ad altri aspetti gravi: siamo in presenza di una dittatura della narrazione rispetto al governo come mai si era vista prima, nemmeno ai famigerati tempi di Berlusconi. Oggi abbiamo uno storytelling univoco che arriva da Palazzo Chigi, sono bravissimi in questo: io ho scritto un libro proprio su questo, L’influencer, che parla dell’Italia del 2025, di un racconto politico fatto di ossessioni, complotti, vittimismi, ricerca del consenso. Mentre i progetti difficili, la pressione fiscale o le riforme, vengono nascosti, proprio non se ne parla. Hanno saputo imporre una narrazione. Siamo al punto che Meloni prima avrebbe impedito i dazi, poi Trump ha messo i dazi, ma lei sapeva che li avrebbero sospesi, eccetera. Ha detto ‘favorirò un incontro fra Trump e von der Leyen’, ma poi l’incontro Trump se l’è fatto da solo, senza bisogno di Meloni. Lei è molto più forte nelle redazioni – nella capacità di spin e controllo delle redazioni – che nelle cancellerie internazionali, dove i bluff li vedono”.
Quindi non siamo forti nemmeno in politica internazionale: “Il punto chiave è il posizionamento internazionale, se siamo o non siamo nel gruppo di testa dell’Europa. L’Italia c’è sempre stata, con Berlusconi e con Prodi, con i governi tecnici e con i governi politici, con la Democrazia cristiana e con gli eredi del Pci. Berlusconi per avere la sua consacrazione fa un’operazione politica straordinaria con la Commissione europea; io, quando nel mio piccolo c’era la Brexit, organizzai un convegno a Ventotene con Merkel e Hollande. Ma alla narrazione collettiva è sfuggito, non casualmente, il disastro di Palazzo Chigi, fatto da lei, scendendo da quel benedetto treno per Kyiv. Al suo posto ci è andato Tusk, e non è un caso che Merz abbia visitato in primis la Polonia. Ha fatto un viaggio a Parigi ma poi, anziché andare a Roma, è andato a Varsavia. Questo è un cambio epocale e in negativo per il posizionamento dell’Italia: non siamo più nel gruppo di testa europeo. Eppure non ne parla nessuno, si racconta solo che lei ha un buon rapporto con Trump; anche se poi Trump parla costantemente con Macron e non con lei”. Anche l’opposizione però sta appesa a questa narrazione, seppure per criticarla: alla fine fa un favore al governo, no? “Non parlo di Schlein, che ad esempio nel premier time la settimana scorsa è stata efficace, e non è cosa consueta. Però è vero, penso che ci sia una parte dell’opposizione che inconsapevolmente svolge il ruolo di sostenitore della Meloni. Quando uno viene in Parlamento e si traveste da fantasma, e fa la pagliacciata, allora sono il primo a dire che facciamo il gioco della maggioranza. Così come altre volte la sinistra ha fatto il gioco di Meloni, e mi riferisco a Enrico Letta che scelse di dividere il centrosinistra, ottenendo che FdI col 26 percento ha guadagnato il governo del paese non avendo la maggioranza di questo paese: il 26 per cento è la stessa percentuale con cui Bersani ha perso”. 


Però intanto c’è una maggioranza parlamentare compatta, questo va riconosciuto, mentre non è proprio alle viste una sinistra che abbia le stesse idee, praticamente litiga su tutto: dai referendum all’Europa al ReArm all’Ucraina. “Sì su questo hanno un vantaggio, e pigiano sul tasto ‘di là sono più divisi’. E allora che facciamo? Stiamo divisi o proviamo a vincere? La verità è che il governo di Meloni non è forte, perché una che ha nel governo Salvini, Lollobrigida, Urso, l’incompetenza assoluta, per definizione non può essere forte. Altro che ‘è un governo con poche personalità perché basta quella della premier’. Io dico che è un governo di scappati di casa, c’è gente che non riconosce un’immagine di intelligenza artificiale da un vestito vero. E parlano di complessi di inferiorità, di cultura, di egemonia”

Su questo terreno c’è però un’obiezione facile ed evidente, a proposito di scappati di casa. Lei ha detto che sarebbe disposto a un’alleanza di governo e politica anche con Conte: che è il capo del peggior partito populista e di incompetenti che ci sia mai stato in Italia. Dov’è la differenza? Possiamo dire che il suo è un eccesso di andreottismo? “Più che andreottismo diciamo che ho lavorato nel palazzo di Niccolò Machiavelli per cinque anni, forse ho appreso qualcosa. Il punto è questo. Con il sistema elettorale che abbiamo in Italia, essendo fallito il disegno di un bipartitismo compito – fallì Berlusconi e fallii io con il Nazareno, potevamo avere un  modello americano, democratici contro repubblicani, anche se oggi in America il ciclone Trump ha portato non l’Italia ad americanizzarsi, ma l’America a populistizzarsi – le elezioni del 2027 saranno un referendum su Giorgia Meloni. E Meloni sa così bene che può perderlo che sta pensando di cambiare la legge elettorale. Di qua o di là: per vincere l’opposizione deve andare unita. Dico male? Io non mi alleo in politica solo con le persone che mi piacciono, le alleanze si fanno con i diversi e per raggiungere obiettivi”. Quindi anche con i Cinque stelle? “Quando Salvini in mutande chiedeva i pieni poteri io ho fatto l’accordo con Conte, perché in quel momento l’obiettivo era bloccare un governo che voleva i pieni poteri; quando si è trattato di portare Draghi al governo ho mandato a casa Conte, e tanti di quelli che oggi parlano male di Conte allora erano i suoi fedelissimi. Lezioni di coerenza da gente che ha detto tutto e il contrario di tutto non ne prendo. Sono pragmatico. Il 2027 è un referendum su Meloni, che a quel punto governerà da cinque anni”. Questo è indiscutibile. Ma non vuol dire, come sostiene l’opposizione ogni giorno, che siamo praticamente in mano alla Gestapo, che ci sia un problema di democrazia. “Non siamo in mano a nessun tipo di sistema autoritario”, chiarisce Renzi. Ma sul sistema di controllo degli apparati dello stato, del controllo nelle redazioni e anche dell’ingerenza del governo in economia (“arbitro giocatore”) il presidente di Italia Viva ha un giudizio tagliente. E delinea un quadro che l’ex premier ritiene coerente: “Non siamo in mano a un sistema autoritario. Tuttavia è grave l’intervento di tipo autoritario che porta il governo a rimuovere personale dai Servizi, come sta facendo, e a non chiarirne i motivi; e a non chiarire se è stato spiato oppure no un giornalista, direttore di giornale che ha fatto scoop contro il partito di governo, spiato con uno strumento che è nelle mani solo dei servizi segreti. Questo pone un serio problema. Lo chiamo, come lo chiamerebbero all’estero, un problema di  accountability, e di responsabilità. Ho domandato in Parlamento: ‘Scusate, amici cari, siete stati voi o no a comprare quel software che ha spiato un giornalista?’. Non hanno risposto. E per tornare al controllo capillare sulle redazioni dei giornali, di tutto questo non si discute”. 


Lei ha speso parole dure anche per l’idea del ministro Giorgetti di usare il Golden Power sull’Ops lanciata da Unicredit su Banco Bpm. Ha detto che è “vergognoso”, anzi uno “scandalo assoluto”. Ci spieghi. “Mi piacerebbe leggere sui giornali finanziari internazionali che cosa ne pensano. Il Golden Power è uno strumento per difendere interessi nazionali in operazioni economiche che coinvolgono altri paesi. Ma qui c’è una operazione di mercato legittima tra due banche italiane. Che senso ha l’intervento del governo, non da arbitro ma da giocatore, solo per tutelare il presunto interesse di una parte? E’ una scelta pericolosa”. Non c’è solo Unicredit-Banco Bpm, è in corso un complesso risiko bancario e il governo ne è coinvolto. Ma anche il suo governo, ai suoi tempi c’era la crisi finanziaria, parlava con il potere delle banche. “Che i governi si occupino di banche ci sta. L’ho sempre sostenuto, ma non si rovina una carriera per questo. Invece oggi si occupano di banche i protagonisti di quella vergognosa caccia all’uomo, anzi alla donna: su Banca Etruria, a Maria Elena Boschi dovrebbero chiedere scusa in ginocchio visto che niente di quello che dicevano si è rivelato vero. Meloni era in piazza contro la famiglia Boschi. Dunque io non discuto che il governo debba avere attenzione alle banche e in ogni caso – ci tengo a sottolinearlo  – non ho detto né dirò una parola sulle operazioni in corso, dal consolidamento del Monte dei Paschi (che by the way è stato salvato dal governo Gentiloni con soldi pubblici, l’amministratore delegato è stato scelto dal governo Draghi e le cui ottime performance, come per le altre banche, sono legate all’aumento dei tassi d’interesse) o su Mediobanca. Ma il Golden Power su una banca italiana lascia senza parole: i liberali alle vongole che fine hanno fatto? Non interessa a nessuno? Lo ripeto: l’intreccio tra redazioni e Golden Power racconta qualcosa  di pericoloso. Pensa se questa cosa, o i silenzi sul modus operandi dei Servizi, l’avessero fatta Berlusconi o Renzi, cosa sarebbe accaduto”. Il tema del racconto del potere, per Renzi, è decisivo. “Siamo in un paese che non si occupa del fatto che la sorella della premier è capo del suo partito; ma accettiamo il racconto che sulla sicurezza e l’immigrazione stiamo facendo bene perché abbiamo i centri in Albania”. Su questo, però, il governo gioca una partita facile: l’opinione pubblica il tema sicurezza lo sente eccome. “Chi nega il problema della sicurezza, a sinistra, fa il gioco di Meloni. Inutile dirlo. Perché nessuno oggi sa dire quel che diceva Blair: duri con il crimine e duri con le cause dei crimini. Sulla sicurezza e altro penso che la sinistra si stia tirando come sempre la zappa sui piedi”. 


Insomma, per un motivo o per l’altro, la pallina va sempre nella buca di Meloni. “Non ne sono convinto, e come ho detto spesso ci azzecco. Vengo da un giro in questi giorni a Bruxelles, a Londra, in Francia e penso che se si ascoltassero le cancellerie o i media internazionali, si scoprirebbe che l’incantesimo è finito”. Ma questa è solo una parte del problema, non trova? La destra potrebbe perdere nel 2027, ma poi? Se come suggerisce lei si mettono insieme Conte, il Pd, Landini, una sinistra che non riesce neanche a sedersi al tavolo a discutere di nessun tema? Torniamo al Jobs Act, ad esempio. “Io sono stanco del fatto che sul Jobs Act – il cui referendum ritengo un clamoroso errore di Maurizio Landini, perché non serve per regolare i rapporti di lavoro ma soltanto i rapporti di forza interni a una sinistra che non vuole cambiare il mercato del lavoro – sia fatta passare l’idea che il referendum divide solo la sinistra. Invece è una verità storica che viene taciuta: contro il Jobs Act Landini e Schlein si sono sempre battuti, ma anche Meloni e Salvini sono sempre stati contro. Adesso dicono che la sinistra si divide, ma sul tema del lavoro, sulle retribuzioni, cosa ha fatto il governo?”. Una coalizione a sinistra reggerebbe? “E’ una domanda che vale anche per il governo: basta dire che loro sono più bravi perché stanno insieme? Siccome Meloni, a cui io riconosco una dose di spregiudicata abilità comunicativa e politica, ripete solo i numeri che le fanno gioco, è la più avanti di tutti. E ha capito che se noi ci si mette tutti insieme, le elezioni lei le perde, non vince un collegio da Firenze in giù. Quando dico che l’incantesimo sta finendo è perché vedo i cambiamenti a livello internazionale, ci siamo fatti sostituire dalla Polonia, e il niente di concreto per l’economia”.


Lei rinfaccia sempre a Meloni l’incoerenza. Eppure dall’atteggiamento sull’Europa, al sostegno a Kyiv, all’aver abbandonato idee di nazionalizzazioni o politiche populiste il fatto che abbia tradito certe idee e persino parte dei suoi elettori è un aspetto positivo, non trova? “Sono due anni e mezzo che sospiriamo per lo scampato pericolo, e poi? Intanto secondo me non è scampato, io sogno una politica capace di dare all’Italia una visione per il futuro e non soltanto indietreggiare su tutto, dall’intelligenza artificiale alle politiche spaziali. Questo è immobilismo, non stabilità. E se continua così finisce prima del previsto”. Prima del 2027? “Secondo me sì. E una delle varianti per cui potrebbe accadere è lo scossone di Trump”. Ecco un altro paradosso: non è che alla fine Trump farà del bene all’Europa? “Può darsi, ma non nel senso di farci urlare al mostro. Però ha fatto bene alla sinistra mondiale, l’ha fatta vincere in Canada e in Australia. Chi abbraccia Trump perde consenso. Ovviamente il tema è più ampio: bisogna svegliarsi. Lo ha detto Mattarella nei giorni scorsi, ‘nessun dorma’, lo ha detto Draghi e nel mio piccolo lo dico io. Abbiamo bisogno di un’Italia che si rimette in moto dentro l’Europa e non invece slegata dal disegno europeo. Quindi meno burocrazia e più politica. Il problema di Trump è che è imprevedibile: parla con la Siria, con i russi, col governo nordcoreano. Quindi per Meloni l’idea di essere politicamente la più vicina a Trump non funziona, è un rischio”. C’è il dossier mediorientale. “Non si riesce a capire che cosa abbia in mente di fare adesso in Israele e con l’Iran. Ma attenti alle letture banali, quelle che è arrivato il mostro e adesso siamo sull’orlo della guerra mondiale, invece può funzionare da effetto sveglia per l’Europa. Può svegliarsi e avere risorse per resistere a questa bordata. Ma bisogna agire. Dopo la Brexit io ho chiesto di attrarre capitali con la legge che ha portato migliaia di ricchi a Milano e questo ha portato l’economia di Milano a crescere. Oggi dovremmo fare una cosa simile per portare i ricercatori, i medici, e l’Europa può farlo mantenendo i propri valori. Io credo a un’Europa che sia un laboratorio e non museo”. Ma in tutto questo, nella coalizione della sinistra che a suo avviso sarebbe comunque meglio della destra, ci stanno anche gli utili idioti del putinismo, quelli che non vedono i pericoli per le nostre democrazie: ci si può governare? E quanto danno possono fare?

“Molti, ovvio. Ma alla fine oggi le contraddizioni sulla politica estera sono purtroppo trasversali. Faccio un ragionamento leggermente più storico, e mi scuso se annoiamo i lettori. Nella storia italiana la politica estera fino a pochi anni fa è stata sempre il fattore dirimente. Quando nel ‘47 De Gasperi va da Truman e lui gli dice levati dalle palle i comunisti, lui prende e li caccia. Perché? Perché la linea di politica estera è la demarcazione delle coalizioni di governo. I socialisti quando arrivano? Dopo i fatti d’Ungheria, che segnano un avvicinamento tra i socialisti e l’occidente, mentre il Pci resta di là. Così quello che era un problema diventa un nuovo collante alla formazione di un governo di centrosinistra. E quand’è che si parla di compromesso storico? Quando Berlinguer fa la storica intervista per dire mi sento più sicuro sotto la Nato che sotto il Patto di Varsavia. Nella Seconda Repubblica Berlusconi e Prodi hanno litigato su tutto ma non sul posizionamento atlantico. Poi dal governo gialloverde si è rotto qualcosa sulla politica estera. Oggi hai persone che cambiano idea come Meloni su Putin e persone che nel proprio schieramento sono di fatto su posizioni diametralmente opposte, come Tajani e  Salvini. Come in modo diverso la pensano Gentiloni e Conte sull’Ucraina o sulle armi. Quindi sarà un problema per chiunque, anche a sinistra. Ma che Meloni faccia così tanto surf sul problema è sbagliato. Nessuno può essere così provinciale da impostare una politica estera sulla base del ‘sono amica di’, con il paradosso inoltre che i presunti sovranisti che teorizzavano un atteggiamento molto muscolare nei confronti degli Stati Uniti oggi fanno la corsa a baciare la pantofola. E’ incredibile, io davvero rimpiango Sigonella e la postura di Craxi e la cultura politica di Moro. Aggiungi una cosa importante: la politica estera si misura sulla base non delle photo-opportunity ma dei risultati, e oggi la politica estera di Meloni si misura sul fatto se sarà o meno nel gruppo di testa dell’Europa. Secondo me il consenso di Meloni farà come il famoso quadro di Baricco: è appeso a un chiodo, non si sa quando succede, ma a un certo punto succede. E quando il chiodo cede, il quadro casca”.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"