I finanziamenti ai partiti

Politica e denaro: il problema non è il 2 per mille. I pensieri di Enrico Letta

Gianluca De Rosa

L'ex premier e segretatio del Pd più di dieci anni fa cambiò le regole per il finanziamento dei partiti. Oggi, nonostante gli scandali, difende ancora quella normativa: "Manca invece una normativa per la trasparenza dei finanziamenti privati"

“Non fu un errore modificare le regole per il finanziamento pubblico ai partiti. Non è stato abolito, ma adesso con il 2 per mille le forze politiche sono spinte a essere  più credibili per convincere gli elettori che sono anche contribuenti”. Enrico Letta, è assorto nel suo lavoro europeo sul mercato unico, di altro non parla da tempo. Ma a chi ha discusso con lui in questi giorni l’ex premier ed ex segretario del Pd ha confermato le sue convinzioni: cambiare le regole per il finanziamento dei partiti ormai più di dieci anni fa, riducendo sostanzialmente i fondi, non fu un errore. Ogni volta che un’ inchiesta colpisce un politico in cerca di soldi per finanziare la campagna elettorale, come accaduto negli scorsi giorni al presidente della regione Liguria Giovanni Toti, quella legge finisce inevitabilmente additata da qualcuno. Con meno fondi pubblici  è ovvio d’altronde che la politica debba cercare risorse altrove, anche dai privati. Ed è su questo che, racconta chi ci ha parlato, Letta sostiene “manchi ancora una normativa che garantisca una piena trasparenza”. Perché – dice – la normativa fu cambiata con un decreto legge e, dopo la caduta del governo, la parte relativa alla trasparenza dei finanziamenti privati rimase lettera morta.  L’ex segretario del Pd è comunque convinto che gli scandali recenti poco c’entrino con le difficoltà dei partiti di raccogliere risorse: “Non si può cercare ogni volta un alibi nella norma per sfuggire a un discorso di ethos pubblico”. Insomma, dai privati si possono raccogliere fondi, l’importante è che questo avvenga in modo trasparente e senza promesse contrarie all’interesse pubblico.


Certo è che nel 2013 non era scontato finisse così. Quanto fu varato il decreto legge sul due per mille in Consiglio dei ministri ci fu un’accesa discussione. Una parte del governo, capitanata dall’allora ministro alle Riforme Gaetano Quagliariello, riteneva fosse più corretto quantificare a monte il budget per finanziare i partiti, lasciando poi agli elettori contribuenti la distribuzione, e cioè la percentuale da destinare a ciascuna forza politica. Questa quantificazione iniziale, avrebbe garantito ai partiti la certezza dei fondi e ridotto, almeno in parte, il potere dei Caf che aiutano i cittadini nella compilazione della dichiarazione dei redditi nella raccolta dei fondi. Passò invece la linea dell’allora ministro degli Esteri Emma Bonino: nessuna quantificazione a priori dei fondi, con la possibilità per ciascun contribuente di versare o meno il 2 per mille. Questa scelta ha senz’altro garantito un notevole risparmio per il bilancio pubblico. Nel 2023 attraverso il 2 per mille sono arrivati nelle casse dei partiti solo 24 milioni di euro, meno della metà dei fondi che arrivavano alla politica quando vigeva ancora il regime dei rimborsi elettorali. Dall’altra parte però le nuove regole hanno costretto i partiti a tirare la cinghia. E infatti questo risparmio, anche dentro al Pd – il primo partito per fondi raccolti attraverso il  per mille, 8,1 milioni nel 2023 – è ancora oggi contestato. Lo dice da tempo l’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti che teorizza la necessità di dover tornare a un sistema di più corposo finanziamento ai partiti. Non tanto, e non solo, per l’inevitabile effetto che a finanziare l’attività politica siano i privati, con ogni eventuale rischio, ma anche perché la riduzione di risorse ha costretto i partiti – il Pd è un caso emblematico – a ridurre il personale, lasciando ceto politico a spasso che poi finisce per occupare i pochi posti che restano negli staff degli eletti dagli enti locali al Parlamento. 


Così com’è oggi il 2 per mille rappresenta d’altronde solo una parte del finanziamento dei partiti. Il resto arriva dal contributo dei parlamentari (il 62 per cento), dall’ erogazioni liberali direttamente ai partiti e dalle fondazioni collegate ai partiti. E’ su quest’ultimo punto che secondo Letta la normativa deve essere ancora aggiornata.